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La politica all’epoca dell’allarme pandemia

Paolo Pombeni - 26.02.2020
Coronavirus in Italia

Dopo giorni in cui sembrava che la situazione politica italiana potesse esplodere si è arrivati ad una specie di tregua, non sappiamo se pacifica o armata, a seguito del verificarsi di una epidemia dovuta al corona virus che in Cina ha interessato migliaia di casi. In numeri assoluti sarebbe improprio parlare di emergenza (qualcosa più di 200 casi al momento in cui scriviamo) e anche gli eventi letali sono limitati (6 casi di persone anziane già con problemi sanitari), ma ovviamente quel che fa impressione è il fatto che l’Italia sia incomparabilmente il paese occidentale con il maggior numero di contagi e che si tratti di un virus molto aggressivo sin qui sconosciuto come portatore di malattie per l’uomo e contro cui non esistono al momento vaccini né cure specifiche (sebbene un mix di quelle tradizionali stia dando in moltissimi casi buoni risultati).

Lo choc per quanto sta avvenendo, ma soprattutto per quel che potrebbe avvenire dato che non si sa come potrà svilupparsi il contagio, è stato molto alto, tanto da creare allarme sociale e da far parlare di emergenza. La conseguenza è stata un appello scontato a dar prova di quella che si usa chiamare solidarietà nazionale. E’ partito tanto dal Presidente della Repubblica quanto dal premier che si è subito dichiarato pronto a coinvolgere le opposizioni nella gestione di questo momento difficile.

La risposta, anch’essa abbastanza scontata, è stata positiva sia da parte delle componenti della coalizione di governo che si erano intestate delle operazioni di contrasto, sia da parte di quasi tutta l’opposizione, eccetto la Lega. Per la verità la posizione riguarda più il suo leader Matteo Salvini che la Lega in quanto partito e già questo costituisce un motivo di riflessione.

I governatori leghisti di Lombardia e Veneto, le regioni maggiorente interessate dal contagio, hanno espresso grande volontà di collaborazione col governo centrale. E’ vero che nella gestione iniziale del contrasto all’epidemia le strutture sanitarie delle due regioni hanno mostrato alcune debolezze (anche scusabili per la difficile interpretabilità dei sintomi) sicché non era proprio il caso che i due assumessero la parte dei maestrini che facevano lezione al governo. Resta però il fatto che i due governatori hanno assunto posizioni assai distanti dalle intemerate demagogiche di Salvini.

Può naturalmente aver giocato il fatto che Zaia a maggio andrà ad una prova elettorale e che, comprensibilmente, non vuole giocarsi un forte consenso di cui gode proprio per una figura che unisce al lasciare corda lunga a qualche intemperanza leghista un solido concetto di cosa significhi governabilità. Questo però dovrebbe interessare anche a Salvini, che invece non pensa minimamente a coltivare un profilo da statista come gli suggeriscono alcune menti più lucide fra i leghisti (a cominciare da Giorgetti). Invece il cosiddetto “Capitano” non riesce a staccarsi dal suo personaggio, probabilmente perché teme che se scende su un altro terreno i concorrenti per sostituirlo possano moltiplicarsi.

Con un certo fiuto politico che non gli manca, Salvini scommette sempre che in fondo buona parte del popolo italiano rimane quello del “dagli all’untore” e del “piove governo ladro”, sicché basta richiamarlo in servizio attivo. Cosa di meglio di una emergenza abbastanza oscura da interpretare, per risvegliare certi sentimenti atavici di sfiducia nel potere e di ricerca di spiegazioni tanto suggestive quanto fantasiose per spiegare quel che è successo e per proporre soluzioni che appaghino istintivamente le paure circolanti?

Non sappiamo se il leader della Lega se ne renda conto, ma sta giocando una battaglia decisiva. Se il governo attuale non riuscisse a controllare in maniera appropriata e magari a risolvere la crisi sanitaria, la fortuna di Salvini riprenderebbe quota in quanto potrebbe presentarsi nuovamente come l’unico che ha avuto il coraggio di denunciare il fallimento in essere. Cancellerebbe così il ricordo negativo della sua sconfitta alle regionali dell’Emilia Romagna e forse potrebbe sperare di ridimensionare anche la Meloni, che gli sta facendo una concorrenza pericolosa (la leader di FdI è stata più cauta e più dialogante con il governo di fronte all’emergenza del corona virus).

Se invece il governo attuale uscisse con una buona performance dalla lotta all’epidemia, la carriera di Salvini avrebbe una decisa battuta d’arresto e forse sarebbe anche, almeno per un po’, finita. Troverebbe invece forza l’attuale coalizione oppure solo il premier Conte? Questa è l’altra domanda centrale posta dalla contingenza che attraversiamo.

La coalizione è stata costretta a mostrare una certa tenuta e Renzi, il Gianburrasca della faccenda, ha avuto l’intelligenza di non mettersi a minare una unità che in fondo è richiesta da tutti i ceti dirigenti del paese. Certo i Cinque Stelle sono finiti nel retrobottega, non avendo personalità di un certo rilievo, ma anche il PD non ha potuto brillare più di tanto, se non come puntello a Conte. Il ministro della salute, Speranza, di Leu, ha giocato un ruolo opaco: non è personalmente una figura che buca lo schermo ed è espressione di un partito che nella coalizione è più che altro un fantasma.

La conclusione è che in caso di successo del governo a trarne il massimo profitto sarà Conte che si è speso in prima persona, ha calibrato e gestito la sua immagine (si è notato un certo cambio di look col cambio di abbigliamento), ha saputo con un’abilità che gli va riconosciuta compattare dietro di sé le strutture tecniche dello stato.

Insomma l’emergenza per il corona virus si rivelerà un fenomeno complesso. Porterà un’eredità pesante sul piano economico (e ci si dovrà ragionare nelle prossime settimane), ma modificherà anche gli equilibri del nostro sistema politico più di quel che non abbiano fatto le fibrillazioni fra i partiti. In che direzione si andrà lo vedremo fra qualche tempo.