Immigrazione in Italia: un po’ di chiarezza, almeno sul piano legale

Da sempre carta da giocare per gestire il consenso, il tema dell’immigrazione è però questione più complessa di quanto traspare dalla dialettica quotidiana. Nel dibattito politico viene usualmente ricollegato ad un altro grande tema, quello della sicurezza, nonché a problematiche inerenti l’occupazione e la crisi economica (spesso riducendole ad argomentazioni da mal di pancia). Al di là del fatto che questa è la storia, questa è la realtà a cui non ci si può opporre, ma che si può solo pensare di affrontare in maniera intelligente, la grave (più o meno voluta) mancanza è che, in tale dibattito, quasi mai ci si sofferma su un’importante connessione, ossia l’inevitabile intreccio tra il tema immigrazione e la tutela dei diritti umani, in particolare del diritto di asilo. Nei tanto temuti barconi, che probabilmente costituiscono l’immagine tragicamente più “pittoresca” della questione (nonostante non siano certo l’unico mezzo adoperato) non ci sono solamente migranti economici, in fuga dalla povertà, o profughi, che lasciano la propria terra a causa di catastrofi naturali o guerre, ma anche tutta una serie di soggetti meritevoli di una protezione maggiormente “titolata”. La questione dell’asilo è un mare magnum che richiede una certa attenzione, soprattutto se si fa informazione o politica e la propria voce raggiunge milioni di cittadini più o meno consapevoli. Pertanto, l’idea di respingere i barconi è mera retorica e non costituisce affatto un’alternativa percorribile, a meno che non si decida di violare la Costituzione italiana, gli accordi internazionali e le norme UE.
Partiamo da ciò che è immediatamente vicino a noi: la Costituzione. Questa infatti ricomprende tra i principi fondamentali il diritto di asilo nel territorio italiano allo straniero a cui sia impedito nel proprio Paese l’esercizio delle libertà democratiche garantite dal nostro Stato. La volontà dei Costituenti era quella di dare protezione a quanti fuggivano da una condizione di oppressione, ciò anche alla luce del particolare momento storico da questi vissuto, nonché delle esperienze personali di rifugio in altri Stati durante la guerra. Pertanto la nostra Costituzione ha da sempre dato rilievo all’istituto dell’asilo, considerando le libertà democratiche come diritti imprescindibili non solo in Italia, ma anche in qualsiasi altro Stato. A tale nobile intento non è però seguita un’analoga volontà nell’attività legislativa: ad oggi, infatti, non esiste alcuna attuazione del disposto costituzionale, né questa pare essere nell’agenda dell’attuale legislatura, nonostante la necessità di una disciplina organica in materia.
L’Italia è però parte della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951. Questa non conferisce diritto d’asilo alcuno, ma si limita a dare una definizione alquanto stringente di chi, in virtù di perentori motivi, riveste la condizione di “rifugiato”. La figura non va dunque confusa con il profugo, o più in generale con l’asilante, ma costituisce una specifica categoria di soggetti sottoposti a protezione. La Convenzione non impone obblighi agli Stati, se non quello (fondamentale) di non refoulement: il divieto, cioè, di respingere un rifugiato verso territori in cui la sua vita o la sua libertà siano in pericolo. Da ciò discende un riconoscimento indiretto di una forma d’asilo (in parole povere: non ti conferisco un diritto all’asilo, ma, poiché la tua specifica condizione soddisfa certi requisiti, ti riconosco quel particolare status di “rifugiato” per cui non posso allontanarti dal mio territorio). L’aspetto fondamentale del divieto di respingimento è che non si applica solo nei confronti di chi è stato formalmente riconosciuto rifugiato dalle autorità competenti, poiché lo Stato è obbligato a trattenere temporaneamente qualunque straniero richiedente protezione, almeno fino all’esito della procedura di riconoscimento.
Passiamo al livello successivo: l’ordinamento dell’Unione europea. È l’UE, infatti, a creare l’istituto della protezione internazionale, comprendente la disciplina sui rifugiati della Convenzione di Ginevra ed un ulteriore tipo di protezione, c.d. “sussidiaria”, alternativa alla prima, ripresa dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo nel rispetto dell’art. 3 (e non solo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura ed i trattamenti inumani e degradanti. Pertanto vengono tutelati in tutto il territorio dell’Unione i rifugiati, ma anche i beneficiari della protezione sussidiaria, in quanto individui a rischio di subire un grave danno nel fare ritorno nel Paese d’origine.
E dunque si diano pace i promotori della chiusura delle frontiere, perché nonostante la pigrizia legislativa e la mancanza di una legge organica sull’asilo, l’Italia non può comunque ( sulla base di obblighi internazionali ed europei, non certo per “buonismo”) permettersi di impedire l’ingresso agli stranieri in maniera incondizionata, perché tra questi potrebbero ben esserci, e molto spesso ci sono, individui beneficiari di protezione internazionale.
* Laureata presso la LUISS Guido Carli
di Paolo Pombeni
di Claudio Ferlan
di Adriana Di Conca *