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24 aprile 2024
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L’impatto delle politiche del governo sulla società

Stefano Zan * - 30.09.2014
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In un recente seminario promosso dalla Confesercenti il responsabile economico del PD ha sintetizzato con molta chiarezza la strategia del Governo: 1) diminuzione della tassazione sul lavoro e sulle imprese; 2) semplificazione e velocizzazione della burocrazia e del processo civile; 3) fluidificazione del mercato del lavoro e nuovi ammortizzatori sociali. L’idea è di fare riforme strutturali cioè non contingenti o occasionali ma che durino per un lungo periodo di tempo. Le riforme strutturali proposte dal governo, necessarie e sacrosante, hanno però alcuni piccoli difetti. Richiedono tempo perché devono essere fatte dal Parlamento. Sono difficili da fare perché devono essere fatte bene e soprattutto evitare le conseguenze non previste. Infine dispiegano la loro efficacia in un tempo non brevissimo. Detto questo proviamo però a ipotizzare che impatto potrebbero avere sulle diverse componenti della società di cui abbiamo parlato nei numeri precedenti. Per quella parte della società che non è né satura né seduta un aumento stabile del reddito unito ad un credibile supporto eventuale dei nuovi ammortizzatori sociali dovrebbe ridurre l’inquietudine esistenziale e portare ad un aumento dei consumi. Non credo sia particolarmente interessata direttamente alla riforma della P.A. e della giustizia. Per gli imprenditori si tratta di una risposta precisa a quanto vanno chiedendo da tempo. Manca forse un impegno preciso sul credito in compenso c’è un impegno forte sul contenimento della spesa pubblica. Tutto questo si tradurrà in investimenti e se sì di che tipo posto che l’imprenditore è disposto ad investire se ha la ragionevole certezza che l’investimento si tradurrà in nuovi clienti o almeno nel mantenimento di quelli esistenti? La questione è delicata. In un mondo in cui ci sembra ci sia già tutto a disposizione è difficile immaginarsi nuovi prodotti. E’ però vero che l’inventiva dei nuovi imprenditori unita alle potenzialità delle nuove tecnologie potrebbe creare prodotti che oggi non riusciamo nemmeno ad immaginare. Più probabile che forti innovazioni ci siano nel mondo dei servizi e della disintermediazione. In ogni caso, salvo verifiche future, stiamo parlando di investimenti che non dovrebbero creare molta nuova occupazione e che anzi in molti casi (disintermediazione) la riducono. Nelle aziende già esistenti e consolidate, anche e soprattutto nelle grandi imprese, l’innovazione molto spesso porta al contenimento della componente lavoro sostituita da tecnologia. Il caso dell’home banking che trasforma uno degli impieghi più sicuri e meglio retribuiti fino a qualche anno fa in un impiego ad alto rischio occupazionale con la certezza di migliaia di esuberi è solo uno degli esempi che si possono fare. Se questi investimenti tendono a creare nuova disoccupazione bisogna vedere cosa faranno le imprese dei maggiori margini che riusciranno ad ottenere. Se li reinvestono in nuove attività bene. Se li utilizzano per abbassare i prezzi scacceranno dal mercato imprese meno competitive creando ulteriore disoccupazione. Maggiore disoccupazione e prezzi calanti, se non ho capito male la lezione di economia, portano alla deflazione. La domanda che ormai molti economisti si pongono è: siamo sicuri che in questa fase storica la mano invisibile del mercato sia capace di fare il suo mestiere? Prendiamo il settore della distribuzione. Non c’è dubbio che l’avvento anni fa della grande distribuzione organizzata abbia portato ad una sensibile modernizzazione del paese, ad una riduzione dei prezzi, all’eliminazione di molti piccoli negozi ma al contempo ad una sensibile crescita dell’occupazione nelle grandi strutture. Ma oggi una ulteriore espansione della grande distribuzione significa la scomparsa dei negozi di vicinato e la desertificazione dei centri storici e dei quartieri con molte conseguenze. Al di là del presidio fisico che i piccoli commercianti svolgono per il solo fatto di essere aperti, una popolazione sempre più anziana si vedrà costretta a prendere la macchina più volte alla settimana per andare a far spesa all’ipermercato o all’outlet dove trova tutto a prezzi contenuti. Però deve avere la macchina che costa e che quando gira inquina aumentando un traffico di per sé già caotico. Senza contare che fare spese nelle grandi strutture è certamente conveniente ma altrettanto certamente deprimente. In altri termini una ulteriore espansione della grande distribuzione creerebbe esternalità negative che qualcuno, i cittadini, dovrà pagare vanificando così i risparmi ottenuti. Ma con quali investimenti il commercio cosiddetto tradizionale potrà mantenere la sua competitività? Intanto quella parte di società satura e seduta resterà a guardare in attesa di novità.

 

 

 

* Docente universitario di Teoria delle organizzazioni