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20 aprile 2024
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La crisi greca e le tante narrazioni pretenziose

Gabriele D'Ottavio - 14.07.2015
Il mito d'Europa

Nelle ultime settimane, le narrazioni sulla crisi della Grecia si sono accumulate a ritmo serrato. Qualcuno interpreta la situazione attuale come un classico conflitto di potenza tra Paesi creditori e debitori, qualcun altro come uno scontro ideologico, o addirittura come uno scontro di civiltà tra Europa settentrionale e meridionale. Qualcuno enfatizza il primato della politica sull’economia o viceversa quello dell’economia sulla politica. Qualcun altro crede di sapere con certezza chi è il responsabile o, meglio, il colpevole, qualcun altro, più accorto, tende invece a distribuire le responsabilità su tutti gli attori coinvolti. Qualcun altro sostiene di avere capito chi sono i falchi e chi le colombe. Qualcuno ricorre alla teoria del complotto, qualcuno si affida al vecchio luogo comune, qualcun altro ancora evoca scenari e categorie che appartengono a un passato che non c’è più. Insomma, quasi nessuno sembra avere più la pazienza di attendere la conclusione di questo interminabile negoziato europeo. Quasi nessuno sembra ritenere che l’esito finale, qualunque esso sia, possa conferire un significato diverso e più profondo a quel che è avvenuto prima, a quel che sta avvenendo in questi concitati giorni e a quel che potrebbe avvenire dopo. Invece tanti ritengono di poter dire la loro, incuranti del fatto se possono vantare o meno competenze specifiche sull’argomento o almeno un’autorità non autoproclamata.

Si potrebbe giustamente osservare che la proliferazione di ‘narrazioni pretenziose’ è un fenomeno sempre più diffuso che si può rilevare anche rispetto a tematiche diverse dalla crisi greca, ma ugualmente complesse e delicate. Sempre al riguardo si potrebbe, inoltre, osservare, come ha di recente sostenuto Umberto Eco, che questo fenomeno è il risultato della rivoluzione tecnologica dei nostri giorni e in particolare dell’affermazione dei social media, che consente a tutti, ma proprio a tutti, di dire liberamente la propria anche su temi molto complessi. D’altra parte, nelle tante ‘narrazioni pretenziose’ che vengono quotidianamente prodotte sulla crisi greca è difficile non vedere anche un coinvolgimento dei cittadini europei per molti aspetti inedito, sicuramente per intensità e dimensioni. È questo uno dei paradossi del nostro tempo. Nel momento in cui viene annunciata la disunione europea, le società dei ventotto stati membri appaiono più europeizzate che mai. In molti sistemi partitici del vecchio continente la politica europea è diventato un cleavage quanto mai rilevante, una linea di divisione socio-politica attorno alla quale si raggruppano le varie forze. In altri termini, l’Europa non è più un progetto elitario, bensì improvvisamente è diventata un tema elettoralmente importante sul quale si possono costruire o disperdere i consensi. Da questo punto di vista, la scelta di Alexis Tsipras di sottoporre all’approvazione popolare il piano dell’Eurogruppo è stata emblematica. Considerazioni analoghe sui rischi di una deriva populista nel dibattito sull’Europa si potrebbero fare anche a proposito delle sempre più frequenti e spregiudicate copertine dello Spiegel o della Bild che cercano di orientarlo ritraendo Angela Merkel una volta circondata da sette gerarchi nazisti, con il Partenone sullo sfondo, un’altra volta seduta sulle macerie di un’Europa distrutta, un’altra ancora con l’elmo chiodato prussiano accanto al titolo che recita: «noi vogliamo una Cancelliera di ferro».

Considerate in questa luce, le tante narrazioni pretenziose sulla crisi greca vanno forse lette anche come una spia di un preoccupante cortocircuito tra due fenomeni politicamente molto rilevanti: la progressiva rinazionalizzazione della politica europea e la deresponsabilizzazione della classe dirigente europea. I cittadini, accortisi della crescente influenza dell’Unione europea nelle dinamiche che riguardano la loro vita quotidiana, esigono dai propri rappresentanti una sempre maggiore attenzione per istanze particolari, mentre le élite, per rispondere a tali rivendicazioni, finiscono talvolta per rinunciare all’onere della responsabilità e, in alcuni casi, per contribuire alla diffusione di narrazioni demagogiche e potenzialmente destabilizzanti. La speranza, alimentata a torto o a ragione dalla notizia di ieri del raggiungimento di un accordo, è che alla fine di questa delicata fase della storia europea possa comunque emergere una narrazione capace di far apparire a posteriori anche questa lettura della crisi greca come pretenziosa.