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27 marzo 2024
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Alcune mistificazioni sulla crisi greca

Massimo Bucarelli * - 14.07.2015
Thomas Piketty

Nell’intervista al settimanale tedesco Die Zeit del 27 giugno scorso, l’economista francese Thomas Piketty ha aspramente criticato l’eccesso di rigore del governo tedesco nei confronti di quello greco impegnato nel difficile compito di trovare una soluzione al problema dell’enorme debito accumulato negli ultimi anni. Piketty ha sollecitato una maggiore flessibilità nel pretendere il risanamento del debito ellenico, ricordando che la Germania in passato non ha mai ripagato il proprio debito estero, né dopo la prima, né dopo la seconda guerra mondiale, per cui non è certo titolata a dare lezioni alle altre nazioni costrette ad affrontare ora le stesse difficoltà.

Il tema non è certamente nuovo. Subito dopo il suo insediamento, l’attuale governo greco, guidato da Alexis Tsipras, ha invocato tali precedenti storici, stabilendo possibili paralleli tra la situazione tedesca del primo dopoguerra e quella greca attuale o chiedendo il pagamento dei danni subiti dalla Grecia per l’occupazione nazista. Il tema, poi, è rimbalzato anche nel dibattito pubblico italiano, ad uso di quanti sostengono la necessità per tutti i paesi debitori in difficolta di derogare agli impegni presi o spingono addirittura per porre fine all’esperienza della moneta comune o sono semplicemente animati dalla volontà di polemizzare contro il governo italiano, colpevole di non sostenere la causa greca, essendosi appiattito sulle posizioni di Berlino.

Il paragone, però, appare non del tutto corretto. Nel caso dei debiti tedeschi, si trattò infatti di riparazioni di guerra, vale a dire di indennità per i danni causati dalla Germania nei due conflitti mondiali, per il cui scoppio Berlino ebbe ovviamente responsabilità assai gravi, se non esclusive. Erano pagamenti imposti dalle potenze vincitrici, insieme a tante altre condizioni (cessioni territoriali, espulsioni di popolazioni, occupazioni militari, disarmo, esclusione dalla gestione dei bacini carboniferi della Ruhr e della Saar). L’ammontare di tali riparazioni non fu negoziato, ma calcolato – in particolare dopo la grande guerra - tenendo esclusivamente conto delle richieste dei vincitori e non della capacità di pagamento tedesche. Un debito enorme, dunque, non liberamente negoziato e sottoscritto, come nel caso della Grecia, ma subìto in virtù della sconfitta militare e privo della natura contrattuale dei prestiti erogati dalle istituzioni internazionali ad Atene.

I veri debiti di guerra furono quelli liberamente contratti tra i paesi dell’Intesa nel corso della prima guerra mondiale: quelli della Francia e dell’Italia con la Gran Bretagna e quelli della stessa Gran Bretagna, insieme a Francia e Italia, con gli Stati Uniti. Il crollo della borsa americana nel 1929 e la grande depressione economica degli anni a seguire resero impossibile il pagamento sia dei debiti interalleati, che delle riparazioni tedesche. Dopo la moratoria di un anno su tutti i pagamenti intergovernativi proposta dal presidente americano Hoover nel 1931, alla conferenza di Losanna del 1932 si decise di annullare la quasi totalità delle riparazioni ad eccezione di una ridotta rata finale, per altro mai interamente liquidata. Quanto ai debiti interalleati, anch’essi non furono più rimborsati agli Stati Uniti, per decisione, però, unilaterale dei partner europei, con gravi conseguenze nel rapporto fiduciario tra le due sponde dell’Atlantico settentrionale.

 

Sorte simile ebbero le riparazioni tedesche successive alla seconda guerra mondiale. Questa volta, le potenze vincitrici stabilirono di non far leva sulla produzione corrente, ma di smantellare la fabbriche e trasferirle all’estero. Scoppiata la guerra fredda, messe in campo le strategie dell’era bipolare, divisa l’Europa in due blocchi contrapposti e con essa la Germania in due Stati separati, si decise da parte del campo occidentale di riconsiderare la questione delle riparazioni, limitatamente alla quota parte della Repubblica federale di Germania. Alla Conferenza di Londra del 1953 sul debito tedesco, si stabilì di congelare il pagamento delle riparazioni e di rinviarlo a riunificazione tedesca avvenuta: evento, che – come sappiamo – si verificò molti anni dopo, nel 1990, quando però la maggior parte dell’importo dovuto venne cancellato dalle vecchie potenze vincitrici (anche se – va precisato – la Germania ha poi regolato bilateralmente il pagamento di indennizzi a singoli paesi). Ciò che, in applicazione delle decisioni prese a Londra nel ‘53, la Repubblica federale ha effettivamente pagato fu il vero debito estero della Repubblica di Weimar negli anni Venti, composto essenzialmente dalle obbligazioni derivanti dai piani internazionali di ristrutturazione delle riparazioni, vale a dire prestiti fatti alla Germania per permetterne la ripresa economica e il pagamento delle riparazioni, ma negoziati sulla base dell’effettiva capacità di pagamento tedesca e con la partecipazione alle trattative anche di rappresentanti tedeschi.

In sintesi, la Germania ha ottenuto la riduzione e la cancellazione finale delle riparazioni imposte unilateralmente dai vincitori delle due guerre, mentre ha ottemperato agli impegni liberamente presi e sottoscritti (al contrario di quanto fatto dai partner europei dell’Intesa nei confronti degli Stati Uniti).

 

Altro tema di forte polemica è quello dei finanziamenti internazionali alla Grecia del 2010 e del 2012, i cui benefici non sarebbero andati al popolo greco, ma alle banche tedesche e francesi, detentrici della maggior parte del debito privato ellenico. In realtà, i vantaggi per Atene e per i contribuenti greci non sono stati indifferenti: 1) come accennato anche dallo stesso Tsipras nel discorso al Parlamento europeo dello scorso 8 luglio, non sono state salvate solo le banche straniere (e le loro controllate in Grecia), ma anche e soprattutto quelle elleniche e con esse i risparmi dei cittadini greci e la possibilità di mandare avanti il sistema creditizio nazionale; 2) i finanziamenti del 2012 sono stati accompagnati da una ristrutturazione del debito, che ha comportato un taglio del 50% dell’esposizione debitoria greca verso l’estero; 3) con la ristrutturazione del 2012, è stato effettuato un ricalcolo degli interessi sul debito, intorno al 2% del PIL, di gran lunga inferiore al tasso applicato ad altri paesi dell’eurozona alle prese con gli stessi problemi.

 

Non è quindi continuando a sostenere che la Germania è il primo paese a non aver onorato i propri debiti o che gli aiuti internazionali sono stati una partita di giro andata solo alle banche di Berlino e Parigi, che si dà un contributo di chiarezza al dibattito pubblico per la comprensione delle difficoltà economiche e finanziare di Atene. Anzi, tutt’altro, perché si alimenta un clima da stadio, in cui tutti si dividono tra sostenitori del povero popolo greco, vittima di avidi e aridi creditori, e quelli dei partner europei più intransigenti, stufi per l’incapacità quasi atavica della politica e dell’economia greche di autoriformarsi. Abbandonando propaganda, luoghi comuni e il metodo del muro contro muro, bisognerebbe aiutare l’opinione pubblica a capire che il problema è essenzialmente politico: i partner dell’eurozona devono convincersi che il salvataggio della Grecia e il sovvenzionamento della sua economia, anche con le tasse di tutti noi, da qui a un numero imprecisato di anni offre più vantaggi che inconvenienti, in termini di stabilità politica e di difesa di interessi strategici; Atene deve dimostrare che non è interessata solo ad avere altri soldi, senza cambiare concretamente il proprio assetto economico, poco funzionale a rimanere nell’eurozona. Altrimenti, al di delle soluzioni trovate in queste ore, tra un anno potremmo assistere a nuova drammatica tappa della crisi greca.

 

 

 

 

* Docente di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Università del Salento