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17 aprile 2024
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La “difesa attiva” di Pechino: discontinuità e continuità della politica estera cinese alla luce del recente libro bianco sulla strategia militare.

Aurelio Insisa * - 02.06.2015
La strategia militare cinese

L’Ufficio d’Informazione del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese ha pubblicato martedì 26 maggio un nuovo libro bianco dal titolo “La strategia militare della Cina” (Zhongguo junshi zhanlüe). Si tratta del nono libro bianco riguardante le forze armate cinesi dal 1998, ma del primo esplicitamente dedicato alla strategia militare. Nel verboso documento, circa novemila caratteri nell'originale in mandarino, il governo cinese delinea uno scenario complesso e non privo di pericoli per il futuro del paese. Mentre da una parte vengono reiterati i benefici dei trend politici-economici che hanno investito l’Asia Orientale negli ultimi decenni, Pechino afferma che crescenti minacce esterne alla propria sovranità territoriale hanno spinto il paese ad una revisione della propria strategia militare riassunta nel nebuloso concetto di “difesa attiva”, riconducibile, citando il documento, alla massima “non attaccheremo a meno di non esser attaccati per primi, ma sicuramente contrattaccheremo se ci attaccheranno” (ren bufan wo, wo bufan ren; ren ruo fan wo, wo bi fanren).

Alcune delle cosiddette “minacce esterne” elencate nel libro bianco sono dei “classici” della comunicazione politica cinese, dal rischio del terrorismo internazionale alla presenza di pericolosi separatismi in Xinjiang, Tibet e Taiwan. Tuttavia la diretta menzione del rinnovato pivot verso l’Asia dell'amministrazione Obama; delle riforme dell’assetto militare ed istituzionale giapponese sotto l’energico governo di Abe Shinzō; e di “paesi vicini” che hanno “occupato illegalmente isole e scogliere cinesi”, indicano chiaramente che è sopratutto l’evolversi delle dispute territoriali nel Mar Cinese Orientale e nel Mar Cinese Meridionale ad aver motivato la pubblicazione del documento.

È quindi il contesto squisitamente politico del libro bianco, piuttosto che la sua dimensione strettamente “militare”, che deve essere analizzato per meglio comprendere l’evoluzione della politica estera di Pechino. Il libro bianco lancia infatti un segnale di discontinuità nella politica estera cinese, sebbene questo messaggio venga mimetizzato in un lessico diplomatico e militare che almeno superficialmente enfatizza la continuità col passato.

Il libro bianco è stato inaspettatamente pubblicato pochi giorni dopo lo sfiorato incidente militare del 21 maggio, in cui a un Boeing P-8 Poseidon dell’aviazione americana, in pattugliamento sopra una delle isole artificiali cinesi della “Grande Muraglia di Sabbia”, è stato intimato di cambiare rotta dalla marina cinese (la presenza di una troupe della CNN a bordo del velivolo è un indizio abbastanza evidente di un piano del Pentagono per fare uscire Pechino allo scoperto – un piano fondamentalmente riuscito). Il termine Grande Muraglia di Sabbia, diffuso da ambienti militari americani indica informalmente il complesso di isole artificiali situate nel Mar Cinese Meridionale all'interno dell’arcipelago delle Spratly - una zona la cui sovranità è anche contesa da Taiwan, Vietnam, Malaysia, Brunei e Filippine - in cui, a partire dal 2013, Pechino ha accelerato le operazioni arrivando a coprire un’area di circa 8 km².

Lo status giuridico delle nuove isole artificiali all'interno della disputa territoriale è ovviamente particolarmente complesso. La persistenza di Pechino nell'evitare qualunque arbitrato internazionale sulla questione,  probabilmente alla luce del comma 8, articolo 60 della UNCLOS (la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare – della quale la Cina è firmataria), secondo il quale “Le isole artificiali, le installazioni e le strutture non hanno lo status di isole. Non possiedono un proprio mare territoriale e la loro presenza non modifica la delimitazione del mare territoriale, della zona economica esclusiva o della piattaforma continentale”, indica che l’obiettivo cinese è probabilmente quello di ottenere una sovranità de facto sulle Spratly mettendo le altre parti in causa di fronte al fait accompli di questa nuova Grande Muraglia.

 

“Nessuno ci può giudicare”:

 

Si diceva: discontinuità nei contenuti e continuità nel linguaggio. Questa discontinuità nei contenuti non è da ricercare nella “non negoziabilità” della sovranità cinese nelle periferie fragili della RPC, o nella sua immutata posizione nella complessa questione taiwanese, quanto piuttosto nell'estensione di questo concetto alle dispute territoriali nei mari contesi, in un momento in cui Pechino sta in realtà spingendo per mutare lo status quo. Si tratta di una manovra semplice ma sottile: Pechino afferma che non inizierà mai un conflitto armato, ma soltanto nel caso in cui gli altri paesi non infrangano delle condizioni unilateralmente poste dallo stesso governo cinese. Spostando progressivamente i confini di ciò che “non è negoziabile”, Pechino si crea quindi uno spazio d’azione che le permette di presentare le proprie azioni in termini puramente difensivi, diventando “costretta” ad assumere un atteggiamento “proattivo” nella difesa dei propri interessi.

Ed è in questo passaggio che entra in scena la continuità del libro bianco con il passato della comunicazione politica cinese. Multipolarità delle relazioni internazionali contemporanee, sviluppo pacifico, la difesa della sacra trimurti pace-sicurezza-stabilità, crescente cooperazione internazionale. Sono tutti luoghi comuni ricorrenti nella public diplomacy cinese che nel contesto di questo libro bianco hanno lo scopo di creare una cornice rassicurante a ciò che in realtà è un messaggio ben più duro. 

All'apice della charm offensive cinese nel periodo pre-olimpico, sarebbe stato probabilmente difficile immaginare una risposta come quella data dal portavoce del Ministero degli Affari Esteri Hua Chunying alla conferenza stampa di giovedì 28 maggio: “il popolo cinese ha il proprio giudizio su cos'è che va fatto [riguardo le Isole Spratly], nessuno altro ha il diritto di dire alla Cina cosa fare”.

Sono tanti i paesi che dovranno fare delle scelte di fronte alla nuova intransigenza di Pechino: in primis gli Stati Uniti del dopo Obama ed il Giappone di Abe, ma anche i “piccoli paesi” asiatici, sempre per usare le parole di Hua Chunying, che “non possono creare problemi alla Cina a proprio piacimento e senza soluzione di continuità”, e i vari paesi dell’Unione Europea, troppo lontani per sentirsi minacciati da Pechino, ma abbastanza vicini da essere attratti dalle promesse economiche della nuova Via della Seta fortemente sponsorizzata dall'amministrazione di Xi Jinping. 

Le prospettive di un conflitto armato in Asia Orientale rimangono lontane ed improbabili, ma alcune certezze sul futuro della regione cominciano a sgretolarsi rapidamente.

 

 

 

 

* Dottorando presso il Dipartimento di Storia della University of Hong Kong