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Il voto del Friuli-Venezia Giulia

Luca Tentoni - 05.05.2018
Voto Friuli-Venezia Giulia

La discussione circa l'opportunità di attribuire valore di "test politico nazionale" a consultazioni locali ha occupato per due settimane le pagine dei giornali: prima col Molise, poi col Friuli-Venezia Giulia. Forse bisognerebbe chiarire alcuni punti sul tema. Il principale riguarda il differente approccio degli elettori nei confronti di consultazioni di diverso ordine. Un conto è scegliere il rappresentante al Parlamento nazionale, un conto il presidente della regione e il governo locale, un altro conto - infine - il sindaco e i consiglieri comunali. Sono dimensioni diverse sia a livello decisionale, sia a livello politico. Si può dire, anche guardando la differente composizione delle coalizioni (e la moltiplicazione delle liste) che il tentativo di ricondurre ad unità i raggruppamenti è complesso, quando sono molto eterogenei e soprattutto quando sono costituiti da liste civiche o "del sindaco" o “del presidente” presenti su una scheda (per regione o comune) ma non sulle altre (per la Camera, ad esempio). Volendo tentare a tutti i costi una comparazione - pur sempre ardita e poco consigliabile - si potrebbe far riferimento dunque alle coalizioni, ma con moltissima cautela. Il secondo punto riguarda il sistema elettorale: quello per le politiche non ha il voto disgiunto e neppure le preferenze, ma ha il collegio uninominale, quelli locali sono diversi anche fra loro (con premio di maggioranza a turno unico per le regioni, con premio e ballottaggio per i comuni). Con meccanismi elettorali differenti l'offerta politica può diversificarsi, così come in contesti distanti fra loro (ambito nazionale, regionale, comunale). Dunque, la comparazione è avventurosa. In terzo luogo, come dimostrano anche i casi di Lazio, Lombardia e Molise 2013 e Lazio e Lombardia 2018, votare lo stesso giorno per le politiche e le regionali non impedisce agli elettori di fare scelte diverse per competizioni differenti. Nel 2013 (elezioni del 24-25 febbraio), aggregando le liste politiche per coalizioni corrispondenti a quelle che sostenevano i candidati presidenti, abbiamo rilevato una volatilità del 14,8% in Lombardia, del 13,5% nel Lazio e del 17,9% in Molise; nel 2018, i dati sono i seguenti: Lombardia, 6,1%, Lazio, 11,2%, Molise (dove si è votato un mese e mezzo dopo le politiche) 19,5%. Per quanto riguarda la differenza fra voti alle coalizioni (raggruppamenti di liste) alle politiche e candidati presidenti delle regioni abbiamo invece un divario, nel 2013, del 15,4% in Lombardia, del 9% nel Lazio, del 13,5% in Molise; nel 2018 è stato, invece, pari al 6,6% in Lombardia, al 10,4% nel Lazio, al 13,9% in Molise. In quanto al Friuli-Venezia Giulia, dove nel 2013 e nel 2018 si è votato per le regionali poco meno di due mesi dopo le politiche, abbiamo i seguenti dati: 2013, differenza fra liste politiche e liste regionali 26,6%, differenza fra liste politiche e voti ai presidenti 20,8%; 2018, rispettivamente 22,4% e 13,8%. Nel complesso, il cambiamento di voto fra politiche e regionali è passato (confrontando liste nazionali con liste locali) dal 18,2% del 2013 al 14,8% del 2018 e (comparando coalizioni nazionali e candidati presidenti regionali) dal 14,7% all'11,2%. In entrambi i casi, un calo del 3,4-3,5%. Le comparazioni possibili, dunque, sono fra volatilità elettorale fra politiche e regionali, ma valgono un po' meno per i dati di lista. Il fatto che la differente scelta dell'elettore fra i diversi tipi di competizione si attenui o si ampli può avere un significato di aumento o di diminuzione del grado di "localizzazione" del voto. Un ulteriore punto da considerare è che alcuni partiti sovraperformano o sottoperformano costantemente nel passaggio politiche-regionali. Nella storia della Seconda Repubblica il centrosinistra ha solitamente avuto risultati migliori a livello locale rispetto alle politiche (fenomeno non verificatosi stavolta: nel 2018 i risultati non hanno fatto registrare variazioni apprezzabili). Dal 2013, la contemporaneità o la vicinanza di elezioni regionali e politiche mostra invece una minor performance del M5S (molto marcata, talvolta di dimensioni notevoli). Il centrodestra, infine, ottiene solitamente meno voti per i propri candidati sindaci o governatori o per quelli nei collegi in confronto ai voti di lista (il Rosatellum del 2018 ha aiutato la coalizione ex CDL a non perdere voti nel "disgiunto", come invece avveniva col Mattarellum 1994-2001). Pesare i partiti e le coalizioni in contesti diversi è difficile. Comparare regionali con regionali, politiche con politiche, comunali con comunali è meglio. Ad ogni buon conto, la pluralità di punti di riferimento aiuta ad avere un quadro molto approssimativo della situazione, se fra i differenti tipi di elezione trascorre molto tempo. Ma in Friuli-Venezia Giulia ciò non è possibile. Osserviamo i dati delle politiche del 4 marzo e di regionali e comunali del 29 aprile scorso, a Udine, provando a compararli. Nel capoluogo, il centrodestra ha avuto il 37,63% di lista alle politiche, il 48,37% per il candidato presidente della regione, il 41,49% per il candidato sindaco, il 53,44% di lista per la regione, il 42,97% di lista per il comune; il M5s il 21,82% di lista alle politiche, il 10,4% per il candidato presidente della regione, l'8,47% per il candidato sindaco, il 6,5% di lista regionale, l'8,92% di lista comunale; il centrosinistra "allargato" ha avuto il 34% alle politiche, il 30,1% per il candidato presidente della regione, il 35,9% per il candidato sindaco, il 30% per le liste regionali, il 35,8% per le liste comunali. Politicamente ognuno può scegliere il dato che più gli aggrada, in positivo per il proprio partito, in negativo per gli altri. Ma serve a poco. Meglio, invece, comparare il simile. Le regionali: gruppi di liste 2018 Centrodestra 62,7% (+17,5% rispetto al 2013), Centrosinistra 26,1% (-17,7%), M5S 7,1% (-6,6%); candidati presidenti 2018 Centrodestra 57,1% (+18,1%), Centrosinistra 26,8% (-12,6%), M5S 11,7% (-7,5%). Le comunali di Udine: gruppi di liste 2018 Centrodestra 43% (+7,1% sul 2013), Centrosinistra 35,8% (-6,9%), M5S 8,9% (-6%), candidati sindaci Centrodestra 41,5% (+5,9%), Centrosinistra 35,8% (-10,2%), M5S 8,5% (-6,2%). Le politiche (intera regione): 2018 Centrodestra 43% (+15% rispetto al 2013), Centrosinistra 23,1% (-1,9%), M5S 24,6% (-2,6%). In sintesi, non abbiamo bisogno di comparare i dati di elezioni di diverso ordine per delineare tendenze già molto chiare: il centrodestra aumenta nettamente in tutti i casi (meno alle comunali, più alle regionali e alle politiche); il centrosinistra ha una flessione più lieve alle politiche, ma più accentuata alle amministrative (particolarmente pesante alle regionali); il M5S perde "solo" il 2,6% alle politiche, ma fra il 6 e il 7% a regionali e comunali. Il centrodestra è, in tutti i casi, al di sopra della sua media di voto nazionale, all'opposto del M5S. Un dato politico, dunque, l'abbiamo: il Friuli-Venezia Giulia sta strutturalmente andando verso destra, in tutte le competizioni, in particolare grazie al peso della Lega (diversamente valutato, a seconda del tipo di consultazione elettorale, ma sempre consistente e in crescita) mentre i Cinquestelle della regione hanno avuto difficoltà persino alle politiche, così come il Pd e il centrosinistra. Il voto del 29 aprile non ha fatto che aggiungere un ulteriore elemento ad un quadro già sufficientemente chiaro. Che, è bene ripeterlo, vale per il comportamento e l'orientamento elettorale dei friulani, non per i risvolti "nazionali" e "romani" che si vorrebbero attribuire al voto, tantomeno se inseriti in un contesto (la crisi di governo) completamente avulso da quello delle dinamiche e delle motivazioni locali.