Le prossime elezioni
Chi afferma che tornare presto al voto con la stessa legge elettorale non servirebbe a niente perché i risultati sarebbero uguali ignora alcuni fatti rilevanti che potrebbero influire fortemente sulle prossime elezioni.
I fatti in questione sono riconducibili a tre aspetti principali: il contesto in cui si sono svolte le elezioni del 4 marzo (e i relativi risultati); quello che è successo tra il 4 marzo e oggi; la volatilità del voto. Vediamoli con ordine.
La domanda principale delle elezioni del 4 marzo era sostanzialmente una: a chi sarebbe andato quel massiccio voto di protesta che era ormai nell’aria da molto tempo? Molti elettori con il loro voto volevano dare un segnale forte ma nessuno (politici, osservatori, sondaggisti) era in grado di prevedere con ragionevole accuratezza dove e in che misura sarebbero andati questi voti.
Che i 5Stelle sarebbero andati bene era chiaro a tutti. Che il PD sarebbe andato male anche. Sul Centro Destra c’erano molti dubbi. Che Liberi e Uguali andasse così male o che la Lega andasse così bene non lo aveva previsto nessuno.
Il risultato è stato uno straordinario successo dei 5Stelle al sud, della Lega al nord (Emilia compresa), ma nessuno ha vinto. Il voto di protesta, in gran parte quello proveniente dalla sinistra, è andato ai grillini al sud e a Salvini al nord. Questo dicono i numeri e non le percezioni che vengono ancora oggi veicolate da chi commenta i risultati senza leggerli. Quello però che mi preme sottolineare in questa sede è che gli elettori non sapevano chi avrebbe vinto davvero e, soprattutto, in che misura. Però volevano dire la loro e sono andati massicciamente a votare.
Su questo aspetto ritorneremo più avanti.
Concentriamoci sul secondo aspetto e cioè su quello che è successo in questi due mesi non tanto per rifare una cronaca che tutti conoscono ma per provare a immaginare che comunque sia questi due mesi sono stati, tra le altre cose, anche una nuova campagna elettorale in cui i partiti si sono presentati all’opinione pubblica che, più o meno a breve, diventerà di nuovo corpo elettorale.
Ebbene, senza entrare nel merito delle singole dichiarazioni e dei singoli comportamenti, mi pare si possa sintetizzare la situazione in questi termini.
La cifra dei 5Stelle è stata l’ambiguità. Ambiguità sui programmi (sostanziali e non solo formali) rispetto alla posizione pre elettorale. Si sono dichiarati disponibili a “rivedere” tutte le loro posizioni “anti sistema” pur di andare al governo. Ma anche ambiguità sulle alleanze: non è la stessa cosa fare un contratto con la Lega o con il PD. E infine ambiguità sui ruoli: da quello di Di Maio inamovibile come presidente del Consiglio a quello di Mattarella a cui hanno suggerito, inopinatamente, comportamenti non istituzionali (dal governo costituito prima delle elezioni fino alla richiesta del voto a giugno, passando per la improbabile mediazione di Fico). Le giustificazioni, deboli, di Di Maio che attribuisce tutte le colpe agli altri possono convincere i militanti più militanti, i credenti, i talebani del movimento, ma difficilmente riusciranno a convincere chi, per protesta, li ha votati per la prima volta, magari pensando che fossero di sinistra.
La cifra del Centro Destra e in particolare di Salvini, piaccia o non piaccia, è stata la coerenza. Coerenza con la coalizione, pur tra le mille difficoltà poste da Berlusconi. Coerenza con il programma che non è minimamente cambiato. Coerenza con il risultato elettorale: il governo lo devono fare quelli che hanno vinto le elezioni e non quelli (il PD) che le hanno perse. Coerenza con il disinteresse per la poltrona dichiarandosi disponibile a non fare il Presidente del Consiglio pur di dar vita al nuovo governo.
La cifra del PD è stata l’incertezza. Venendo da un programma “incerto” nel senso che nessuno è in grado di capire un programma di cento punti e non avendo ancora fatto un’analisi seria del perché il partito perde (da molti anni), continua nella sua incertezza alimentata da una pluralità di micro capi corrente che, ancor più di prima, spiegano a tutti pubblicamente (esattamente come ha fatto anche Renzi da Fazio) cosa dovrebbe fare il partito. Dalla fiera opposizione fino al governo con Di Maio con tutte le sfumature (del grigio della tristezza) che si ritrovano tra lo stare al governo e lo stare all’opposizione. D’altra parte fino a che continueranno a pensare che il partito plurale (inteso come quello in cui ognuno dice pubblicamente quello che gli pare) e l’assenza di un vero leader (l’uomo solo al comando) siano un valore da conservare è probabile che non riescano ad uscire dall’incertezza (per usare un eufemismo).
Non voglio fare affermazioni apodittiche e tanto meno fare previsioni ma ho l’impressione che, nella comunicazione politica rivolta agli elettori, tra incertezza, ambiguità e coerenza gli stessi potrebbero preferire la coerenza.
Ma tutto questo non basta. Un altro aspetto è la volatilità del voto che può presentare diverse dimensioni.
Il voto di protesta, se è veramente tale, è un voto volatile per definizione perché vuole dare un segnale chiaro ma, una volta ottenuto il risultato (il segnale è arrivato a destinazione) potrebbe anche rientrare.
Il voto del sud è da anni un voto volatile ed è passato più volte da destra a sinistra e viceversa in maniera massiccia senza che accadesse niente di particolare per giustificare questa mobilità.
Il voto per un partito effimero, come effimera è la rete, è un voto volatile. Così come l’appartenenza e la militanza è “social” (basta un click per esprimersi) altrettanto lo è la defezione, soprattutto per gli elettori non militanti. Altro è votare per un partito radicato sul territorio, presente ovunque come partito in carne e ossa, che governa da tempo e in maniera soddisfacente (per gli elettori) centinaia e centinaia di comuni, decine di province, le regioni più importanti del nord.
Il voto dei clientes, cioè di coloro che non vedono l’ora di approfittare delle prebende del sottogoverno al di là di qualsiasi valore ideale, è altrettanto volatile. Deve solo capire chi sarà il vero vincitore e poi si adegua.
Ma anche il voto di chi ha interessi materiali da difendere è tendenzialmente volatile e si orienta non solo verso le promesse ma anche verso chi ha (già) dimostrato di saper governare.
L’unica conclusione che mi permetto di trarre è che alle prossime elezioni gli elettori sapranno chi ha più probabilità di vincere e si comporteranno di conseguenza: chi sceglierà per i vincenti in pectore e chi per opporsi, il più possibile, agli stessi probabili vincenti. In ogni caso, anche con lo stesso sistema elettorale, i risultati saranno sensibilmente diversi.
Infine invito il lettore a riflettere sui risultati del Molise e del Friuli che non sono certamente un test statisticamente valido ma che un qualche significato politico forse ce l’hanno.
* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it
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