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04 maggio 2024
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Il voto del 2018 nelle "capitali regionali"

Luca Tentoni - 10.09.2022
Elezioni 2018

I capoluoghi di regione sono i luoghi nei quali si svolgeranno le battaglie più aperte e aspre fra centrosinistra e destra. Per questa ragione, abbiamo deciso di analizzare i tre più recenti appuntamenti elettorali: le politiche del 2018, le europee del 2019 e le regionali (a statuto ordinario) del periodo 2018-'20. Queste consultazioni hanno un punto in comune: come nel resto della Seconda Repubblica, nelle metropoli il centrosinistra è costantemente sopra le medie nazionali, mentre la destra è, specularmente, sotto media. Succedeva un po' anche nella Prima Repubblica, con la Dc debole nelle grandi città e i laici (in parte anche il Pci) su percentuali migliori di quelle nazionali. Che le sfide nei collegi uninominali dei "capoluoghi regionali" (per riprendere il titolo del mio volume del 2018, pubblicato dal Mulino, dal quale attingeremo i dati) si vede anche esaminando il rendimento dei poli nelle metropoli e nel resto d'Italia. Alle scorse politiche, nei collegi inerenti ai venti capoluoghi di regione, il centrosinistra si è aggiudicato il 28,6% degli "uninominali", contro il 24,5% del centrodestra e il 46,9% del M5s. Altrove, invece, il centrosinistra ha avuto appena il 7,7% dei collegi in palio, contro il 54,1% del centrodestra e il 38,3% del M5s. In sintesi, la probabilità che nei collegi uninominali delle grandi città, nel 2018, il centrosinistra vincesse era quadrupla rispetto al resto del Paese, mentre per il centrodestra era dimezzata. Quattro anni fa, la situazione nazionale era la seguente, alla Camera: centrodestra 37% dei voti, centrosinistra 22,9%, M5s 32,7%, sinistra 4,5%, Casapound-Altri destra 1,3%, Altri 1,6%. Per contro, nelle "capitali regionali" avevamo: centrodestra 31,2 (-5,8%), centrosinistra 28,3 (+5,4%), sinistra 7,3 (+2,8%), M5s 30,9 (-1,8%), Casapound-Altri destra 1,2 (-0,1%), Altri 1,1 (-0,5%). Se la competizione nazionale era a "due poli e mezzo", con centrodestra e M5s a competere nei collegi e per il primato nel proporzionale, nei capoluoghi di regione la partita era a tre, con i poli raggruppati in tre punti percentuali. Rimontando l'11,2% al centrodestra e il 7,2% al M5s, il centrosinistra era in gioco e poteva competere alla pari, come forse potrebbe essere anche oggi (anzi, oggi la gara vera e propria sembra fra centrosinistra e destra, senza terzi incomodi di peso). La maggior forza strutturale del centrosinistra nelle grandi città si traduceva, al Nord-Ovest, in un quasi pareggio col centrodestra (33,3% contro 34,7%), ad una distanza non eccessiva nel Nord-Est (29,7% a 34,5%) con una forte prevalenza nel Centro (37,7% a 27,4%), restando solo tre punti indietro a Roma (28,2% a 31,2%, col M5s al 30,6%); naturalmente, nel Mezzogiorno e nelle Isole la partita era tutta a favore del M5s (rispettivamente 48,7% e 43,3%) seguito dal centrodestra (25,4% e 31,2%) e da un centrosinistra distante (17,4% e 16,8%). Non tutti i partiti hanno ottenuto risultati troppo diversi nelle grandi città rispetto al resto del Paese. Nel 2018 Forza Italia ha avuto nelle metropoli appena l'1,3% in meno, mentre Fratelli d'Italia l'1,2% in più; tuttavia la Lega ha perso il 5,3% a fronte del +3,4% del Pd e del 2,2% di Più Europa. Per questo si è detto che il Pd era (ed è ancora, secondo molti) il "partito delle ZTL", cioè dei centri storici. In effetti, si osserva una prevalenza del centrosinistra sul centrodestra tanto più marcata nei quartieri centrali che nei periferici e in questi ultimi rispetto ai comuni limitrofi, mentre è nell'estrema "periferia" provinciale e regionale che le destre vanno meglio, soprattutto la Lega. Il voto del 25 settembre sarà il banco di prova per sapere se il Pd e il centrosinistra sono in grado di andare oltre i confini urbani o se sono destinati a restare relegati in alcune zone politicamente, culturalmente ed economicamente ben connotate.