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Il travaglio del centro-destra

Paolo Pombeni - 22.04.2014
Centro-destra

Gli attacchi dei pretoriani di Berlusconi ad Alfano e compagni sono testimonianza di un travaglio nelle fila di quello che è stato il fenomeno nuovo del ventennio trascorso, cioè la creazione di una poderosa aggregazione esplicitamente di centro-destra. Essa è stata a lungo al governo in forza di un consenso elettorale notevole che le ha consentito, grazie ad alleanze con la destra vera e propria, di proporsi come la guida della trasformazione del paese dopo il crollo degli equilibri politici che erano ancora gli eredi della stabilizzazione post 1948.

Il fenomeno era nuovo, perché proprio quella stabilizzazione era stata costruita sul presupposto che la legittimazione al governo non stesse nella proposizione della classica dialettica fra destra e sinistra, ma nella sua sterilizzazione con la concentrazione del potere al “centro”, dove un grande partito “popolare” , la DC, conteneva al suo interno tanto componenti di destra quanto componenti di sinistra e per questo poteva agire al tempo stesso da collettore e da sterilizzatore di quella dinamica.

Con la affermazione del “berlusconismo” sembrava invece si fosse tornati alla dialettica classica del bipolarismo secco mitizzato da tutta una corrente di scienziati politici e la cui assenza era stata vista come la anomalia della democrazia italiana (ricordate il “bipartitismo imperfetto” di Giorgio Galli?).  Le forze in campo avevano fatto di tutto per sostenere questa lettura. Berlusconi aveva tacciato il fronte opposto di “comunismo” e i vari leader della coalizione sua avversaria lo avevano presentato come il nuovo demiurgo della destra a cui si applicavano tutti gli stereotipi negativi coniati nella tradizionale battaglia contro di essa.

In realtà le cose erano più complicate. Da un lato il Cavaliere non era affatto il dominus incontrastato di una delle due componenti di un sistema bipolare, perché era alleato di altre forze di matrice diversa (la Lega). Dall’altro aveva messo insieme tradizioni di destra in senso proprio e tradizioni composite di marca conservatrice a cui aveva dato l’etichetta, anch’essa tradizionale, ma equivoca, di “moderati”. In aggiunta, il suo consenso era raccolto più sulla base della paura che i velleitarismi ideologici di una sinistra ancora legata ai vecchi miti della “purificazione” giacobina (per quanto nella prassi annacquati a dovere) portassero ad una messa in discussione dei vari feudi di potere e corporativismi che si erano formati nella crisi più che decennale del sistema politico precedente.

Se dunque si poteva assistere ad un fenomeno relativamente nuovo nella politica italiana, cioè un lungo periodo di governo di una coalizione che esplicitamente si denominava di destra, ciò non poteva cancellare il fatto che la forza trainante di quella compagine non riuscisse a produrre una ideologia politica adeguata alla sua pretesa di leadership. L’oscillazione fra richiamo al “moderatismo”, al “liberalismo”, ad una “rivoluzione” variamente aggettivata, ma in concreto ferma ad un primitivo sistema di spoil system per sistemare i propri fedeli o i convertiti più o meno sinceri, non possono essere intesi come ciò che un tempo si sarebbe definito “una proposta politica”.

Certo la speculare debolezza propositiva dell’avversario aveva agevolato la riduzione del contrasto ad una lotta fra federazioni di tribù politiche ciascuna asserragliata nel proprio territorio e interessata più che altro a qualche conquista di confine per consolidare il proprio potere.

Questo panorama è però mutato sotto i colpi di una crisi economica che ha costretto tutti a misurarsi con la creazione di una proposta politica per governare, per quel che è possibile, il terremoto sociale che la crisi ha avviato e le cui conseguenze si capisce dureranno a lungo. Berlusconi è rimasto vittima della sua strategia miope di fronte a quella emergenza: prima l’ha negata, poi l’ha malamente gestita, sia per inadeguatezza politica sia per il suo avvitarsi su una crisi personale di vitalismo contro il suo naturale invecchiamento. Ne è uscito radicalmente minato nella sua credibilità di leader e si può dubitare fortemente che possa riconquistarla davvero.

Di qui la crisi di una componente cospicua del nostro sistema attuale. Come sempre accade in questi casi essa si presenta al momento con tre volti classici: la ricerca di gruppi dirigenti di una nuova collocazione che non disperda il loro potere (Alfano e i suoi); la ricerca dei pretoriani di un “ridotto” da cui gestire la battaglia finale per risalire la china; lo sbandamento di un consenso elettorale che fa fatica a scegliere fra quelle due componenti e che è tentato dal ritirarsi in attesa di vedere come andrà a finire.

Questo travaglio non interessa solo l’area del centro-destra (la destra in senso proprio e radicale si è staccata ormai da esso), ma tutto il sistema, perché quando un sistema deve modificarsi, non si stabilizza nella dissoluzione di una sua componente inevitabile (un’area di destra moderata esiste dovunque), ma paga invece le conseguenze della creazione perturbatrice di quel vuoto.