Il ruolo del Colle, la responsabilità dei partiti
Il voto è l'espressione di una sovranità popolare "che è al vertice della nostra vita democratica e che si esprime, anzitutto, nelle libere elezioni" le quali aprono "una pagina bianca: a scriverla saranno gli elettori e, successivamente, i partiti e il Parlamento". Sono parole pronunciate il 31 dicembre scorso dal Capo dello Stato, in un discorso che - riletto oggi - appare insieme profetico e programmatico. In quelle pagine - e nell'azione del Presidente, che in questi anni ha confermato il suo ruolo di arbitro nelle contese politiche - c'è tutto il senso della responsabilità che i partiti, coadiuvati dal Quirinale, si assumeranno già nei prossimi giorni, con le consultazioni per la formazione di un nuovo governo. In questa prima fase, Mattarella eserciterà un ruolo di paziente ascolto, cercando di cogliere le sfumature, le possibili convergenze, gli spiragli per poter proseguire nel suo difficile percorso. Il suo sarà un compito "maieutico": dovrà far emergere le potenziali convergenze, non creare ciò che non esiste o che non è nella disponibilità dei partiti e dei leader. Un conto è la cosiddetta "moral suasion" del Quirinale, un altro conto è fare pressione. Sbaglia chi pensa che nello stile dell'attuale presidente ci siano vocazioni "cesaristiche" e che, dunque, possa "tirare la giacca" a qualcuno o subire – per contro - pressioni esterne. È possibile che alla fine della vicenda di questa crisi di governo ci siano una o più forze politiche insoddisfatte del risultato. Ma se si perde una partita giocando male o non avendo le forze necessarie per vincerla, non è sempre il caso di dare la colpa all'arbitro. Soprattutto se l'arbitro ha spiegato da tempo le regole del gioco (abbiamo un ricco corpus non scritto, ma ugualmente cogente ed efficace, di consuetudini costituzionali in materia). Detto ciò, quel che possiamo attenderci da Mattarella è che non cederà alla rassegnazione e che eviterà - per quanto possibile - di chiedere al popolo di esprimersi nuovamente a fine giugno. I tempi tecnici per sciogliere le Camere sono strettissimi: la "finestra" si aprirà il 15 aprile (quando le consultazioni saranno ancora in corso, oppure avremo già un governo, in caso di improbabile rapida intesa) e si chiuderà il 9 maggio. Lo spazio è breve, dunque: sarà un fattore dal quale le forze politiche non potranno prescindere. Più lunghi saranno i tempi della crisi, più le elezioni anticipate si allontaneranno. Può sembrare un paradosso, ma in caso di stallo la prospettiva di non poter chiamare gli italiani alle urne in pieno luglio è un ottimo deterrente. Con il calendario dalla sua parte, Mattarella inizia il suo percorso, sapendo del resto che in passato non è stato raro il succedersi di incarichi esplorativi, pause di riflessione, pre-incarichi che hanno richiesto uno o due mesi di trattative prima dell'insediamento di un nuovo governo. Ci vorrà, certo, molta responsabilità da parte di tutti i giocatori, indipendentemente dal fatto che siano usciti vincitori o sconfitti dalle urne: "I problemi che abbiamo davanti sono superabili: possiamo affrontarli con successo, facendo, ciascuno, interamente, la propria parte. Tutti, specialmente chi riveste un ruolo istituzionale e deve avvertire, in modo particolare, la responsabilità nei confronti della Repubblica" (messaggio di fine anno, 31 dicembre 2017). La soluzione peggiore di questa crisi - anche se forse c'è qualcuno che la auspica - è il rapido ritorno alle urne, che fra tre mesi potrebbe riportarci al punto di partenza. Non sarebbe questo il modo adatto per "guidare i processi di mutamento" o per scongiurare il pericolo che il futuro "evochi incertezza e preoccupazione" più di quanto il voto del 4 marzo abbia già dimostrato. Dal Capo dello Stato, dunque, ci si attende ciò che ha già in animo di fare: ascoltare, cucire pazientemente con l'aiuto delle forze politiche responsabili, evitare che la crisi peggiori un rapporto fra partiti e cittadini già gravemente compromesso da tempo. Non avremo forzature, se l'"arbitro" confermerà il suo operato degli ultimi due anni: quindi, niente incarichi senza maggioranze realmente esistenti, niente avventure, niente strappi alle regole, niente trame. Il resto spetterà ai partiti: che conseguiranno un successo – in caso di esito positivo - oppure - se dovesse andar male – sopporteranno il peso di un fallimento che l'opinione pubblica potrebbe far loro pagare a caro prezzo, nelle urne.
di Luca Tentoni
di Andrea Frangioni *