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Il rapporto Welfare Index Pmi 2019

Francesco Provinciali * - 01.05.2019
Rapporto Welfare Index PMI 2019

È stato recentemente pubblicato sul portale delle piccole e medie imprese italiane il 4° Rapporto “Welfare Index PMI”2019 (https://www.welfareindexpmi.it/rapporto-2019), promosso da “GENERALI”, con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, ConfProfessioni e con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio.  Già dal titolo della Ricerca – “Il welfare aziendale fa crescere l’impresa e fa bene al Paese- e dalla prefazione del CEO Marco Sesana oltre che dall’introduzione a cura del Comitato Guida, si evincono i tratti più significativi e peculiari dell’analisi sullo stato del welfare aziendale, che ha coinvolto nell’indagine ben 4500 piccole e medie imprese del Paese, con una crescita nel triennio 2016/2019 dal 7,2 al 19,6 delle aziende attive nel settore del welfare.

A partire dai soggetti interessati: l’imprenditore, i lavoratori (e per indotto i loro familiari), lo Stato, le istituzioni locali, le associazioni dei diversi stakeholder, coinvolti nell’intento di fare sistema, con benefici tangibili e condivisibili, nell’ottica di un salto di qualità culturale che promuova il welfare aziendale come “bene comune”, fattore di leva e di crescita nella linea dell’umanizzazione dell’impresa e del benessere.

Il welfare aziendale va oltre il concetto di welfare integrativo, basato su una contrattazione nazionale di massima orientata ai fondi pensione e alla sanità complementare: “è qualcosa di molto più ampio tanto nella platea quanto nell’oggetto delle prestazioni, si rivolge a intere popolazioni aziendali e alle loro famiglie, su un range vastissimo di bisogni: dalla previdenza integrativa ai servizi per la salute e il benessere personale; dall’assistenza per i familiari anziani e per la cura dei figli alle iniziative per la conciliazione vita– lavoro; dalla formazione professionale ed extraprofessionale al sostegno per l’istruzione dei figli; dalle iniziative culturali e per la rigenerazione psicofisica a quelle per favorire l’integrazione dei soggetti deboli e degli immigrati”. Più precisamente il Rapporto evidenzia 12 aree di intervento in tema di welfare aziendale”: 1) Previdenza integrativa- 2)Servizi di assistenza– 3)Conciliazione vita e lavoro, sostegno ai genitori-  4)Formazione per i dipendenti- 5)Cultura e tempo libero- 6)Sicurezza e prevenzione degli incidenti- 7)Sanità integrativa- 8)Polizze assicurative-9)Sostegno economico ai dipendenti-10) Sostegno all’istruzione di figli e familiari- 11)Sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale- 12) Welfare allargato alla comunità. Obiettivo di fondo: rafforzare la sostenibilità dell’impresa occupandosi del benessere e della sicurezza sociale dei lavoratori e delle loro famiglie. Considerando “attive” le imprese che hanno aderito ad almeno 4 punti dei 12 elencati si è passati dal 25,5 al 46,9% in tre anni; nell’ultimo anno le imprese “molto attive” (che hanno applicato 6 aree su 12) si sono implementate del 36%. Ciò che conta, inoltre, è il superamento della barriera dimensionale delle imprese, diffondendosi il welfare aziendale anche in quelle “piccole”. La struttura portante del sistema PMI considera 750 imprese con più di mille addetti, 652 mila da 6 a mille addetti (di cui 620 inferiori ai 50 addetti per azienda), fino alle 5,2 milioni di imprese individuali con meno di 6 addetti. Significativamente, oltre i dati quantitativi e l’espansione delle logiche di welfare aziendale ad una platea sempre più vasta, si evidenzia una crescita della consapevolezza degli obiettivi sociali dell’impresa: ad esempio tra le aziende molto attive questa cultura del benessere dei dipendenti come fonte di potenzialità di sviluppo raggiunge – nella proprietà e nel management – un incremento del 63,9% dal 2016 al 2019. Nell'ultimo anno le aziende più attive che hanno accresciuto l’attività di welfare, sia potenziando le iniziative esistenti sia intraprendendone di nuove, sono mediamente il 23,1% del totale.

La coerenza con cui le imprese più attive perseguono politiche di welfare aziendale è testimoniata anche dalle intenzioni per il futuro: il 71,7% di esse dichiarano infatti l’intenzione di accrescere ulteriormente le iniziative, contro una media generale del 49,7%. Specularmente, osservando le ricadute positive di questa implementazione di una cultura del benessere sui luoghi di lavoro e sulla crescita di reti di welfare interno, le aziende “molto attive” osservano effetti positivi sulla produttività nel 63,9% dei casi, contro una media del 36,2% e sull’immagine e reputazione aziendale del 72,5% su una media del 42,4%.

Significativo, se rapportato alla politica governativa dei “bonus” attivata a partire dai famosi “80 euro” è il constatare che la “semplice erogazione di somme comporta rischi di banalizzazione, oltre che di dispersione. Quando l’azienda non si limita a questo, ma costruisce un progetto che risponde ai bisogni dei lavoratori, delle loro famiglie e del territorio in cui essa opera, “genera un valore che va oltre l’equivalente economico dell’iniziativa e che le persone non faticano a riconoscere. Infatti Le imprese che dichiarano di ottenere un buon gradimento delle proprie iniziative da parte dei lavoratori sono il 33,4% ma due anni fa, nel 2017, erano il 23%”.

Per non enfatizzare il mero dato quantitativo su quello qualitativo che si estrinseca nella percezione di una politica aziendale condivisa e vocata al “benessere sul posto di lavoro”, all’umanizzazione delle relazioni interne, all’attenzione verso la pluralità delle esigenze dei lavoratori e delle loro famiglie, parametrate ai 12 punti sopra elencati, il Rapporto si sofferma a considerare l’importanza delle “best practice” , in ciò valorizzando l’intuizione e la motivazione della proprietà o del management a migliorare l’indice di soddisfazione dei lavoratori nell’esser parte dell’azienda, nella scelta delle priorità sulle logiche di welfare da adottare.  “Inoltre i casi di successo si basano sulla capacità di individuare i bisogni principali dei lavoratori e delle loro famiglie, per concentrare le iniziative su obiettivi di massimo impatto sociale. Anche a questo serve il coinvolgimento: a definire le priorità e a progettare iniziative aziendali il cui valore sia ben riconoscibile.

Queste considerazioni si possono sintetizzare con una espressione: l’impresa al centro della comunità”.

Non secondaria appare infatti l’interfaccia di una siffatta politica del welfare aziendale rispetto alla più vasta comunità in cui essa è inserita. Come acutamente osservato dagli estensori del Rapporto PMI 2019

“l’aspetto più noto del welfare aziendale è la sua capacità di apportare risorse aggiuntive alla spesa sociale pubblica e privata, e di contribuire alla diffusione nel territorio di servizi e di facilitazioni all’accesso che altrimenti non sarebbero disponibili. Ma, accanto a questo, esiste un altro aspetto di grande valore soprattutto in un’epoca di frammentazione sociale e di isolamento. Realizzando i progetti di welfare aziendale, e interagendo con altri soggetti, le imprese contribuiscono a rafforzare la coesione tra le comunità e le persone che ne fanno parte. E anche questo è un fattore di protezione e benessere”.

Rispetto alla gestione negoziale del welfare aziendale si osserva che stabilmente negli ultimi tre anni il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali non è diffuso, attestandosi ad una quota del 24,5% delle PMI le quali tendenzialmente preferiscono attivare strategie di coinvolgimento diretto dei lavoratori, con una quota percentuale che passa dal 34,6 nel 2017 al 51,6 nel 2019. Proattività dell’azienda nell’attuare le iniziative, coinvolgimento dei lavoratori, disponibilità a sostenere costi aggiuntivi: sono questi i criteri che distinguono le imprese più impegnate nel welfare aziendale. Il Rapporto PMI 2019 stila una classificazione delle aziende secondo cinque segmenti di accorpamento graduati per spinta motivazionale, investimento economico, iniziative aggiuntive rispetto alla contrattazione collettiva, autonomia gestionale, coinvolgimento dei lavoratori: proattive partecipate, proattive direttive, proattive a costo zero, attuatrici partecipative, attuatrici direttive. Sul piano pratico questa politica di estensione quanti-qualitativa dell’welfare aziendale si traduce in benefici fruibili all’interno o all’esterno dell’azienda, a vantaggio dei lavoratori e dei loro familiari: dal 2017 al 2019, l’utilizzo dei premi di produttività convertiti in welfare è molto aumentato: dal 4,1% al 15,9% delle imprese. Tutela della salute, sanità complementare, assistenza ai familiari anziani e ai bambini, flessibilità dell’orario di lavoro, misure a sostegno della genitorialità, supporti economici per l’abbattimento dei costi di trasporto per recarsi al lavoro, formazione professionale ed extra-professionale, vigilanza e istruzione per i figli, contributi per le rette scolastiche, attività educative e ludico ricreative, conciliazione vita/lavoro con sostegni alla genitorialità.

Scorrendo le oltre 100 pagine del ricco e interessante Rapporto si deduce quanto sia esponenzialmente crescente nelle PMI l’introduzione di strategie di welfare aziendale che incidono in maniera tangibile e documentata (comprese le “buone pratiche” e le eccellenze riportate in appendice) al benessere dei lavoratori e alla produttività delle imprese.

 

 

 

 

* Ex dirigente ispettivo MIUR