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27 marzo 2024
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Il PD e la legge elettorale

Luca Tentoni - 17.03.2021
ZIngaretti e Letta

Nel suo discorso di investitura alla segreteria del Pd, Enrico Letta ha archiviato la stagione della "vocazione maggioritaria" per tornare ai tempi delle coalizioni prodiane, quelle che - come l'Unione - non puntavano ad escludere ma ad includere, stante anche la presenza (nel 1996 e nel 2001) di un sistema misto a prevalenza maggioritaria uninominale ad un turno come il "Mattarellum" (nel 2006 c'era il "Porcellum", che se dava un premio certo alla Camera, era una lotteria per i premi regionali del Senato, come Prodi purtroppo constatò a sue spese). Se Letta intende ripartire dal Mattarellum (che, come spiegava Sartori, non era certo il sistema migliore possibile) per andare oltre, guardando per esempio al doppio turno uninominale "alla francese" (in uso anche in gran parte del periodo dell'Italia liberale) la proposta è senza dubbio incoraggiante, perché costringe le forze politiche - soprattutto quelle pulviscolari del centro e della sinistra, cioè tutte tranne Pd e M5s - a compiere delle scelte precise: aderire ad una coalizione estesa, nella quale ognuno ha il suo spazio e la sua voce ma non il potere di ricatto, oppure restare fuori e scomparire. Il problema è che, col Mattarellum, chi resta fuori può sopravvivere, anzi può persino diventare determinante, perché la parte proporzionale e la soglia del 4% favoriscono il frazionismo. Non che la pletora di simboli accanto al candidato dell'uninominale o la spartizione dei collegi sicuri fra i "nanetti" sia una garanzia di stabilità per un'alleanza, ma almeno la parte maggioritaria "all'inglese" del Mattarellum era la più funzionante (seppure con i limiti ai quali abbiamo appena fatto cenno). Se però si vuole tornare al sistema del 1993, con gli scorpori, la parte proporzionale e lo spazio per le terze forze, non ci siamo. A quel punto, meglio fare un ulteriore passo indietro, riprendere la proporzionale ante 1992 e rituffarci sinceramente nel sistema della Prima Repubblica, che almeno una razionalità l'aveva. Così come avrebbe una razionalità un meccanismo a doppio turno eventuale di collegio, nel quale al primo turno ci si confronta e al secondo passano i primi due (è meglio chiuderlo, anziché usare - come in Francia - una soglia d'accesso alta) proprio come accade alle elezioni comunali. In questa maniera, si evita di "contarsi" e di ripartire in base ai rapporti di forza del primo turno le candidature del secondo (attraverso il meccanismo delle desistenze e dei ritiri concordati). C'è poi, come per la parte maggioritaria del Mattarellum, il problema della compattezza dell'elettorato di coalizione. La destra, storicamente, pativa questo aspetto, perché i leghisti non votavano volentieri i candidati centristi o di An (e viceversa), perciò perdeva fino al 2-3% dei voti rispetto alla competizione proporzionale. Oggi potrebbe succedere anche nella "nuova Unione": si può immaginare un elettore di Calenda votare, nel proprio collegio, per un grillino o un sostenitore di Fratoianni eleggere la Bonino o Tabacci? È verosimile che, nel caso in cui ci fosse solo la competizione uninominale e non quella "di riserva" della quota proporzionale, una parte dell'elettorato (soprattutto quello pentastellato) preferirebbe l'astensione (e all'ulteriore, ancor più sgradita - ma non, in certi casi, per i forzisti, probabilmente - opzione del voto al candidato del polo opposto). C'è poi la questione degli effetti dei sistemi elettorali: il Mattarellum, nel '94, non funzionò al Senato perché c'erano tre poli; funzionò per caso alla Camera nel '96 grazie alla desistenza di Rifondazione comunista; "produsse" una maggioranza nel 2001 quando però il centrosinistra era diviso e il centrodestra al massimo dello splendore elettorale. Nessuno garantisce che un sistema misto o maggioritario "puro" a uno o due turni assicuri almeno la metà più uno dei seggi in entrambe le Camere ad una coalizione. È la dinamica della competizione, unita all'offerta elettorale e alla pluralità dei soggetti, che influisce sull'esito, anche se - certo - il meccanismo di trasformazione di voti in seggi ha un suo peso nel semplificare e nel premiare i poli più votati. Se adottassimo un sistema come quello francese (ma chiuso, cioè con soli due candidati al ballottaggio) avremmo verosimilmente due sole coalizioni: una di centrosinistra "misto e plurale" (con il M5s) e una di destra-centro (con Fi apparentemente marginale ma decisiva per il suo pugno di voti). Data questa condizione - e sperando che la differenza di elettorato fra Camera e Senato non complichi la situazione - dovremmo poter avere una coalizione vincitrice in entrambi i rami del Parlamento. Di fronte a questa prospettiva, tuttavia, alcuni fanno notare che la divisione in un campo (per esempio, l'eventuale rifiuto dei pentastellati ad unirsi al centrosinistra) potrebbe permettere al polo vincente di assicurarsi un numero di seggi tale da poter cambiare da solo la Costituzione (e senza referendum confermativo). A questo proposito sarebbe bene risolvere la questione del metodo dei mutamenti istituzionali una volta per tutte, con una riforma che escluda in ogni caso la possibilità di revisione per l'intera Prima parte (articoli 1-54) e per il Titolo VI della Seconda parte (articoli 134-139), stabilendo inoltre che "le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, sono approvate a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione e sottoposte a referendum popolare entro tre mesi dalla loro pubblicazione". Referendum costituzionale nel quale, s'intende, sarebbe bene introdurre il quorum del 50% più uno, per fare in modo che ogni revisione non sia di parte, ma frutto di un ampio e partecipato accordo fra il più alto numero possibile delle forze politiche (le regole del gioco si scrivono insieme e possibilmente con l’ampio concorso del popolo italiano). Dire, dunque, che bisogna ripartire dal "Mattarellum" è un'indicazione chiara, ma rappresenta solo un punto di partenza, insieme all'idea di abolire l'ormai anacronistico gruppo Misto.