Il passaggio finale?

La direzione del PD programmata per lunedì prossimo sarà la prova finale della tenuta del renzismo? La domanda campeggia in molti commenti e si può ben capire il perché. Il segretario-presidente (del consiglio) sembra deciso a chiudere, con un voto conclusivo alla Camera, la vicenda dell’introduzione della nuova legge elettorale battezzata “Italicum” prima che si arrivi al test delle regionali. Molti commentatori ritengono che l’accelerazione derivi dall’aver constatato che la minoranza PD è, come si sarebbe detto una volta, una “tigre di carta”.
Certo pochi valutano positivamente la capacità di tenuta di una minoranza che è fatta in parte di vecchie glorie, in parte di persone che devono a queste la loro carriera e in parte di irrequieti che non riescono a proporre alternative comprensibili. Tuttavia in politica anche le debolezze possono trovare un momento di forza quando vengono spinte in un angolo, e questo è uno scenario che sarebbe bene non sottovalutare.
Al momento Renzi è in un strana posizione. Contemporaneamente gode di molti fattori a suo favore e di non pochi fattori a suo discapito. In testa ai primi ne stanno due: il successo che sembra arridere al Jobs Act che ha rimesso in moto il mercato di lavoro, almeno a stare ai risultati dei primi mesi; il vuoto di concorrenza credibile alla sua leadership, perché né la destra né la sinistra, per stare a queste due classiche distinzioni, riescono a mettere in campo personalità il grado di coagulare un consenso che possa sfidare quello dell’inquilino di Palazzo Chigi.
Tuttavia il fronte delle opposizioni al picco di potere del premier è variegato e può anche trovare il modo di coagularsi oltre le attese. Il punto dolente è in questo momento il partito di Alfano, che per continuare ad essere “renziano” ha bisogno di dimostrare che questa scelta paga (anche per poter avere qualche speranza di non sfigurare alle prossime regionali). Ciò significa che il problema della sostituzione di Lupi deve trovare una soluzione che metta in moto dei meccanismi interni alla distribuzione dei ruoli all’interno del governo. Cosa si trascina dietro questo problema? Quello che Renzi non può accontentare NCD senza pestare i piedi di qualcuno: o del suo stesso partito chiedendo un passo indietro a qualche ministro, o di qualche altro partito, cioè dell’ex area di Scelta Civica.
E’ questo, a mio avviso, che costringe il premier a limitare la prova di tenuta sulla legge elettorale nell’arena della Camera, dove i numeri gli sono favorevoli. Tornare al Senato, come si dovrebbe fare in caso di modifiche al testo attuale, significa affrontare un terreno infido in cui nel frattempo si concentrerebbero sia i malumori per il “rimpastino” governativo, sia magari quelli per gli esiti delle elezioni regionali se si fosse costretti a calendarizzare l’esame della nuova versione della legge dopo lo svolgimento di queste ultime.
Come si può capire, un leader che sappia fare anche minimamente i conti non può essere incline a sottoporsi a questa tortura solo per compiacere una minoranza della cui tenuta comunque non può essere sicuro (anche in politica l’appetito vien mangiando …). Meglio dunque per lui accelerare il confronto decisivo, visto sia il momento favorevole sul piano economico, sia la scarsa passione che il tema delle riforme istituzionali, e persino di quella elettorale incontra nella gente. Del resto con un livello di propensione all’astensionismo che sfiora il 50% degli elettori, e con la conferma ricavata da varie elezioni in Europa che questo tenda ad essere un trend generalizzato, è difficile pensare ad una mobilitazione vasta contro un tema del genere.
Dunque meglio affrontare subito lo scoglio e farlo sul terreno meno favorevole ai suoi oppositori interni che è la direzione del partito. Si rifletta un attimo su questo paradosso. Renzi torna ad appellarsi alla “disciplina di partito” che è il principio su cui si è retta la forza politica da cui derivano i suoi oppositori, cioè il vecchio PCI (ma, se per questo, anche la vecchia DC che pure su questo terreno era stata maestra di bizantinismi interpretativi). E’ un richiamo a quel tipo di “forma partito” che l’attuale segretario si diceva avesse rottamato in favore di un partito, come si usa dire, più “liquido”.
La minoranza interna ha però difficoltà a pretendere che le si lasci “libertà di coscienza” a fronte di una legge che è politica come più non si può quale è quella elettorale. Se vuole essere coerente deve solo, in caso appunto non accetti quella “politica”, scindersi da chi la propone. Il risultato sarebbe la messa in discussione della legislatura, con inevitabili contraccolpi sulla situazione economica. E’ un rischio che si deve sperare non vogliano farci correre.
Allora tutto può essere risolto solo facendo passare la legge adesso, sia pure col mal di pancia, e rimandando lo scontro finale a dopo? Potrebbe essere, se non ci fosse il fatto che allora alle elezioni anticipate si voterebbe appunto con l’Italicum (anche se ci sarebbero problemi sul Senato) e nessuno può dire come andrebbe a finire dal sommarsi di un evento traumatico (la fine anticipata della legislatura) con un elettorato che deve usare uno strumento nuovo a cui non è abituato.
Come si vede è un bel rebus. Sarebbe un caso di studio interessante sul modo di procedere della politica nel XXI secolo, non fosse che si tratta di qualcosa che coinvolge i nostri destini.