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24 aprile 2024
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Iconografia delle istituzioni. Il ritratto ufficiale di Mattarella

Maurizio Cau - 28.03.2015
Sergio Mattarella

Non c’è figura che, più di quella del presidente della Repubblica, incarni il volto dello Stato. Parole, segni e silenzi di chi abita il Quirinale sono parole, segni e silenzi delle istituzioni. Non può che essere così anche per le immagini che ne accompagnano e descrivono il cammino, tanto più se – come l’attuale – il presidente è assai parco nell’uso dei mezzi di comunicazione. 

Le difficoltà e l’imbarazzo provato nei giorni successivi alla sua elezione dagli organi di stampa, costretti a riesumare non senza equilibrismi frammenti di interviste e immagini datate, sono ora parzialmente superati dai materiali progressivamente prodotti dalla presenza pubblica del capo dello Stato. Il vuoto iconografico e mediale che ha segnato l’ultima fase dell’esperienza pubblica di Mattarella è ora inevitabilmente (e inesorabilmente) colmato. È di pochi giorni fa la prima intervista ufficiale, rilasciata (fatto che la dice lunga sull’uso misurato e selezionato che dei media intenderà probabilmente fare) alla Cnn, uno dei più prestigiosi organi internazionali di informazione. Ed è di qualche settimana fa la produzione del ritratto ufficiale del Presidente, quello che verrà riprodotto in migliaia di esemplari e campeggerà sui muri di uffici pubblici e scuole. L’immagine di Mattarella che girava nelle prime ore dalla sua elezione, quella ritagliata da uno scatto d’insieme che lo ritraeva nella solenne toga del giudice costituzionale, è ora sostituita dal volto compassato, quasi etereo, del suo ritratto ufficiale. Che debitamente interrogato (le immagini parlano), ci suggerisce qualche riflessione sui codici comunicativi del primo cittadino d’Italia e sul loro potere simbolico.  

 

Il ritratto degli altri

 

Quella del capo dello Stato non è l’immagine di un corpo individuale. È il ritratto di un corpo immateriale che incarna valori, principi e speranze di una Nazione. La raffigurazione di un corpo privato che si fa Stato e che dell’autorità diviene icona, simbolo, effigie.

In Italia la tradizione ritrattistica legata alla più alta carica dello Stato ha sempre seguito un contegno molto misurato, concedendo assai poco alla retorica narrativa che in contesti istituzionali non troppo distanti dal nostro sembra molto più marcata. Si pensi alla centralità che l’apparato iconografico ha nel contesto politico americano (Obama è seguito quotidianamente da un fotografo personale e le foto che ritraggono il suo cammino pubblico e privato sono ormai indistinguibili dalla sua parabola politica) o alle esperienze britannica e francese, che prevedono la conservazione e l’esposizione delle immagini ufficiali dei propri rappresentanti in vere e proprie realtà museali (la National Portrait Gallery di Londra, le Presidential Libraries francesi). Si pensi, ancora, alla scelta dei fotografi ufficiali dei capi di Stato stranieri: a differenza del caso italiano, in cui il ritratto istituzionale è affidato a un fotografo (spesso coperto da un misterioso anonimato) dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, presidenti e sovrani stranieri sono ricorsi spesso a firme di grande rilievo della fotografia internazionale (Pete Souza per Obama, Raymond Depardon per Hollande, Annie Leibovitz per la Regina Elisabetta, Gisèle Freund per Mitterand, Jacques-Henri Lartigue per Giscard d’Estaign, Bettina Rheims per Chirac).

 

Nel solco della tradizione


In Italia, dove non mancano certo fotografi affermati a livello internazionale, non funziona così. Il carattere anodino e convenzionale dei ritratti presidenziali testimonia la loro dichiarata funzione istituzionale e una certa ritrosia a lavorare intorno al potenziale narrativo dei segni e dei simboli. Eppure ogni scatto è racconto, e anche quello misurato e composto che ritrae Mattarella non manca di trasmettere una precisa idea delle istituzioni e un’impressione di come l’individuo che attualmente le incarna intenderà esercitare il proprio ruolo. Come Napolitano, che aveva rotto una lunga tradizione iconografica in cui il presidente distoglieva lo sguardo dall’obiettivo, il nuovo presidente sceglie di guardare in macchina, come a dire che il suo sguardo non rifugge, ma cerca, quello del cittadino. Non sono più gli anni dei volti ispirati, quasi rapiti in uno sguardo proteso e carico di futuro (Leone, Pertini, Scalfaro, Ciampi) né ovviamente quelli dello sguardo enigmaticamente (e ambiguamente) sottratto alla fissità dell’obiettivo (Cossiga). Oggi il presidente non può che farsi carico di guardare negli occhi il Paese, reggendone lo sguardo e accogliendone le istanze. E non può che farlo con accanto i simboli che segnano la cornice istituzionale del suo ufficio, ossia la bandiera italiana e quella dell’Unione Europea. Queste ultime rivelano una centralità meno manifesta (soprattutto per quanto riguarda la bandiera europea) di quanto non accadesse nell’effigie di Napolitano, ma marcano con decisione l’orizzonte entro cui si muoverà inevitabilmente l’azione presidenziale.

Si tratta di lievi aggiornamenti iconografici che non modificano in termini sostanziali un codice comunicativo assai tradizionale, saldamente legato alla marmoreità dell’immagine pubblica dell’autorità e alla comunicazione di uno stile politico che per il primo cittadino non può che essere di distaccata sobrietà. Nel corso dei decenni il ruolo politico del presidente della Repubblica è mutato significativamente; non così i canoni della ritrattistica ufficiale, che continua a trasmettere il senso di equilibrio e terzietà che nell’immaginario comune accompagna il ruolo di garanzia assegnato costituzionalmente al capo dello Stato. Almeno con le immagini, si sarebbe forse potuto osare un po’ di più.