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Il nodo della giustizia

Paolo Pombeni - 16.09.2014
Giudici in sentenza

La questione giustizia è rilevante, ma sarebbe un errore circoscriverla ad una diatriba da lasciare in mano non tanto ai “tecnici” (il cui sapere serve moltissimo, se non è animato da spirito di parte), ma al lobbysmo delle varie componenti interessate, che non sono esattamente poche.

Per ragionare in maniera costruttiva su questa tematica, bisogna partire da un dato che, se non ci inganniamo, viene lasciato molto in ombra: la natura assai ambigua del rapporto fra magistratura e governo. Da un lato infatti stiamo parlando di uno dei tre poteri dello stato: accanto al legislativo, all’esecutivo, appunto il giudiziario. Tuttavia, e qui sta l’altro lato, questo potere non è chiaramente “autonomo” come lo sono gli altri due.

Infatti, mentre parlamentari e membri del governo decidono in autonomia su loro stessi e non hanno vincoli di dipendenza, la magistratura è di fatto formata da “funzionari”. Certamente la sua indipendenza è tutelata da un organo specifico, il Consiglio Superiore della Magistratura, ma fino ad un certo punto e non senza appunto ambiguità. Nel caso del parlamento e del governo l’indipendenza dei loro membri è da un lato a termine e dall’altro non esime la loro azione dall’essere soggetta a verifiche anche pesanti: il governo può essere sfiduciato dal parlamento, i parlamentari possono esserlo dagli elettori. I magistrati, in quanto funzionari, hanno invece una carriera a vita (per di più non sottoposta a verifiche nel suo corso), non sono sindacabili e il CSM si è mostrato un organo molto poco capace di reali controlli così come della gestione della loro dislocazione funzionale.

Naturalmente sono tutti aspetti estremamente delicati: è facile dire che sindacare le decisioni dei giudici può significare orientarne i giudizi a favore dei più forti (e in questo ruolo ci possono essere tanto i poteri quanto “la piazza”). Tuttavia è altrettanto facile rilevare che, quantomeno in alcuni casi, ci sono magistrati che scambiano la loro libertà di decidere per libertà di prendere senza conseguenze decisioni, diciamo così, bizzarre (limitiamoci pure ai vari interventi in materia di cure “alternative” dimostratesi poi scientificamente inconsistenti).

Ultimo complesso tassello di questo quadro: il fatto che i magistrati hanno una “Associazione Nazionale”, cioè un sindacato, cioè un organismo che di per sé contrasta col loro statuto di membri di un potere autonomo e li mette sullo stesso piano di tutti gli altri lavoratori dipendenti. Mentre il parlamento e il governo non possono scioperare contro una “controparte” ai magistrati è consentito farlo sia contro il governo che contro il parlamento.

Sono problemi piuttosto complicati, che certo non si possono risolvere con battute, né da una parte né dall’altra. Renzi è stato abile nel mettere in angolo la ANM mostrandone un tipico volto sindacale in una polemica sulla durata delle ferie. La ANM ha replicato in maniera debole, dando l’impressione di difendere un privilegio con motivazioni che non fanno presa sulla pubblica opinione.

Va riconosciuto che alla base di questioni come quella citata c’è sempre il pregiudizio che grava su lavori di tipo intellettuale che ovviamente non sono riducibili allo “orario d’ufficio”: vale per i professori che non lavorano solo quando stanno in aula così come per i magistrati che non lo fanno solo quando stanno nelle sessioni pubbliche delle cause. Per tutti dovrebbe valere la considerazione che se non “studiano”, se non si tengono aggiornati, ecc., diventano inefficienti nel loro lavoro. Tuttavia è forte il sospetto, per i professori come per i magistrati, che accanto ad una percentuale, anche alta, di soggetti che proprio per questo lavorano ben oltre le canoniche “otto ore” settimanali, ce ne sia una quota che approfitta, più o meno allegramente, del tempo libero non esattamente per dedicarsi agli studi e all’aggiornamento.

Come si risolve una questione tanto spinosa? Non certo con un braccio di ferro sindacale, che comunque non produrrà risultati, sia che vinca il nuovo assetto del governo (tanto anche in quel caso, come si dice, fatta la legge trovato l’inganno …), sia che il sindacalismo delle toghe riesca a tenere duro sulle vecchie impostazioni.

La ANM, se vuole veramente rappresentare un potere dello stato e rilanciare l’immagine della magistratura, dovrebbe rimboccarsi le maniche e produrre proposte di riforma. Che la giustizia in Italia funzioni male, sia lenta, e via dicendo, lo sanno tutti. Dicano dunque i magistrati per primi cosa occorrerebbe fare a loro giudizio, mostrando che anch’essi si sentono a disagio in queste condizioni e non le accettano di buon grado.

Se lo facessero, ma con la necessaria forza e credibilità, essi si riaccrediterebbero come “terzo potere” (per di più, nella classica definizione, che nessuno più ricorda, come “potere neutro”) e troverebbero quella fiducia profonda dei cittadini, che è qualcosa di più e di diverso dal bieco giustizialismo di molti loro pseudo-sostenitori: perché la gente vuole un sistema che garantisca stabilmente giustizia, non che ogni tanto possa dare qualche “lezione” (magari vendicativa) a questa o a quella stortura occasionalmente affrontata.