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Il lustro di Mattarella

Luca Tentoni - 23.11.2019
Mattarella e Segre

Durante la scorsa estate, nel corso della trattativa per risolvere la crisi di governo, si disse che uno dei punti essenziali per evitare lo scioglimento anticipato delle Camere era scongiurare che il nuovo Capo dello Stato fosse eletto da Salvini e Meloni. In effetti, anche se il governo gialloverde fosse riuscito a sopravvivere fino all'inizio del 2022, sarebbe stato il leader leghista a scegliere il nome del nuovo presidente della Repubblica, sia pure concordandolo (fatto non di poco conto, certo) col capo politico dei Cinquestelle Di Maio. Verosimilmente, come si diceva negli ambienti politici un anno fa, nel 2022 il "notaio del contratto", cioè il presidente del Consiglio Conte, sarebbe stato scelto da Lega e M5S per il Quirinale. Ora è la maggioranza giallorosa a poter eleggere il successore di Mattarella (Prodi? Draghi? Franceschini?) ma c'è un problema: il "Conte bis" deve durare ancora per circa 26 mesi. Un'impresa non facile, vista la partenza senza "luna di miele" e data la difficoltà di amalgamare soggetti politici molto eterogenei come quelli che sostengono il governo. Il fatto che la scadenza del mandato presidenziale ricorra spesso, ormai, nelle cronache e nei commenti politici ci ricorda che Mattarella è al Quirinale da quasi cinque anni. È giunto il momento, dunque, per tracciare un breve bilancio provvisorio, sperando di non incappare nella sfortuna che capitò ad un amico e collega (Alberto Sensini) autore - prima delle "picconate" - del volume "Cossiga, il gusto della discrezione". Di Mattarella si può dire che ha seguito fedelmente il percorso tracciato già nel discorso d'insediamento. Si è comportato da arbitro imparziale delle crisi, anche se qualcuno ha errato nell'interpretare la sua pazienza con la volontà di prendere tempo e scambiando il suo rispetto per il Parlamento con la voglia di incoraggiare (nel passaggio fra il "Conte uno" e il "Conte bis") una specie di "ribaltone". Ancora oggi, alcuni commentatori gli suggeriscono - o gli intimano - di "mandare a casa il governo che non ha la fiducia degli italiani"; se rileggessero la Costituzione, forse, sarebbero più cauti nel far circolare certe improvvide raccomandazioni. L'arbitro (questo è il ruolo che si è dato Mattarella) non manda le squadre negli spogliatoi perché stanno giocando una gara sottotono, ma aspetta il novantesimo per chiudere la partita, come prescrive il regolamento. Questo regolamento, che oggi sembra superato dall'immediatezza dei social e dalla necessità di alzare il tono della dialettica politica oltre il limite del buonsenso e del buon gusto, è la Carta Repubblicana del 1947, col suo contenuto formale e materiale. Altra cosa è compiere una riflessione sull'opportunità di porre fine alla legislatura se le forze politiche non riescono ad esprimere una coalizione di governo maggioritaria in Parlamento, o se queste, dopo una riforma elettorale, si rivolgono al Capo dello Stato (anche in questo caso, purché maggioritarie) chiedendo elezioni col nuovo meccanismo di trasformazione dei voti in seggi. In questi cinque anni Mattarella ha gestito tre crisi ministeriali: quella rapida del 2016 (con Gentiloni che prese il posto di Renzi battuto al referendum costituzionale), quella lunghissima del 2018, infine l'ultima, che ha preceduto la nascita dell'attuale Esecutivo giallorosa. In circostanze e con maggioranze diversissime, il Quirinale non ha mai perseguito una politica interventista, anche se ha giustamente fatto valere la sua "moral suasion" (in occasione di nomine ministeriali giudicate dal Capo dello Stato non del tutto consone, per esempio) e ha fatto una sola volta ricorso alla facoltà di nominare senatori a vita. La sua scelta è però stata molto significativa, sia per la data (2018, ottantesimo anniversario delle leggi razziali), sia per la persona: Liliana Segre. Già giudice della Corte Costituzionale, Mattarella ha avuto modo di esaminare con attenzione i testi legislativi che gli sono stati sottoposti per la firma: in alcuni casi, ha dato alcuni suggerimenti in corso d'opera, senza però assumere atteggiamenti semipresidenzialisti; in altri (come sui decreti sicurezza) ha formulato osservazioni preziose che forse il governo Conte dovrebbe provvedere a recepire. Nonostante questo suo stile notarile, silente ma non assente, Mattarella è stato il primo presidente della Repubblica a subire, durante la difficile gestazione dell'Esecutivo gialloverde, una serie interminabile di insulti (alcuni dei quali molto gravi, uniti a minacce) e una disdicevole campagna di delegittimazione del Quirinale. Poiché il tempo è galantuomo, va ricordato che gli stessi che allora la scatenarono gli hanno rivolto, mesi dopo, espressioni di grande stima e apprezzamento. Mattarella non passerà alla storia per l'affetto popolare e l'empatia suscitata da Pertini, né per l'impronta interventista di Cossiga (e, in parte, di Gronchi, Scalfaro e Napolitano); l'attuale presidente si può avvicinare, piuttosto, a due suoi illustri predecessori: Luigi Einaudi (1948-1955) e Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006). Infine, una notazione: pur essendo cattolico praticante, il Capo dello Stato non ha mai esibito la sua fede - come negli ultimi tempi pare sia usuale, in politica - ma ha rivendicato spesso, nei suoi discorsi, quei doveri di solidarietà (non solo cattolici, ma anche laici) tipici della sua formazione, intrattenendo rapporti più che cordiali col Pontefice (l'intesa fra i due è stata agevolata anche dal nuovo corso che Papa Francesco ha dato alla Chiesa, distante dalle prese di posizione di alcuni illustri porporati, i quali ancora oggi sono più vicini ad ambienti e sensibilità differenti). Se, durante gli ultimi anni di mandato, Mattarella continuerà a seguire il percorso già intrapreso, nel 2022 lascerà il Quirinale senza enfasi e con molta concretezza, come quando vi si è insediato, nel 2015. Trovare un successore all'altezza non sarà facile, nell'era in cui se non si appare sui social network, non ci si mostra, non si fanno gesti clamorosi è come se non si esistesse. La speranza per il futuro, dunque, non è quella di avere un presidente di sinistra o di centro o di destra, ma di continuare ad avere un Quirinale abitato da un Capo dello Stato normale, notaio fedele della Repubblica, custode della Costituzione, difensore della democrazia e del pluralismo.