Il governo della gazzarra
Che l’attuale governo sia un governo che fa “gazzarra” l’ha dichiarato il governatore della Liguria Toti che non può essere considerato un suo nemico. D’accordo, la definizione si riferiva alla specifica problematica della ricostruzione del ponte Morandi, ma è facilmente estendibile allo spettacolo che l’esecutivo, o meglio alcuni dei suoi membri offrono quotidianamente.
La gestione della vicenda dell’Ilva, le invettive di Salvini contro la magistratura non eletta poi ritirate con un funambolico testa-coda, la telenovela sulla chiusura domenicale degli esercizi commerciali, le solite tirate in materia di immigrazione e connesse reazioni internazionali, il pastrocchio sui vaccini, l’annuncio di affidare ad un personaggio di show televisivi il controllo sui concorsi universitari, sono solo alcuni episodi di un elenco che sarebbe facile espandere. Eppure nonostante questi fuochi d’artificio non sembra crollare il consenso del paese verso la maggioranza giallo-verde e, cosa forse ancor più rilevante, al momento la situazione economica tiene.
Qualche interrogativo su questi fenomeni andrebbe pur avanzato. Proviamo a ragionarci, senza pretendere di aprire chissà quali nuove prospettive.
Il consenso tiene perché la maggior parte dell’elettorato è indifferente a quanto fa il governo nel dettaglio. Innanzitutto teniamo conto che, a stare alle rilevazioni, almeno un 30-35% dell’elettorato continua a voler star fuori dalla competizione politica. Per questa componente l’indifferenza verso ciò che può fare o non fare il governo è assodata. Il 60% circa che continua a dichiarare la sua fiducia nei due partiti della attuale maggioranza è in realtà un bel po’ meno considerato nel campione nazionale complessivo dove rientrano appunto anche gli astensionisti. Dunque si riduce più o meno intorno al 40%, che naturalmente è comunque una cifra significativa per il distacco con i partiti che esprimono le opposizioni, le cui percentuali vanno anch’esse ridimensionate di conseguenza. Il fatto è che quella parte di opinione pubblica non si aspetta quello che potremmo definire con una formula abusata “un buon governo”, ma semplicemente un governo che rovescia il tavolo. Quel che succede dopo interessa relativamente.
Se la si guarda da questa prospettiva si capisce bene perché Salvini, Di Maio e qualche “spalla” governativa hanno bisogno di spararne una al giorno. Se perdono la loro immagine di quelli che “mettono a posto” i guasti del passato, vedono scendere la loro legittimazione. Li aiuta il fatto che è ampiamente diffusa la convinzione che le cose siano messe così male che solo una azione drastica che “non guardi in faccia a nessuno” può portare a quella svolta che si attende. Non dimentichiamo che qualcosa di simile era già successo con Tangentopoli e con la conseguente divinizzazione della magistratura.
I critici dicono, speranzosi, che si tratta di rodomontate che avranno il fiato corto perché si vedrà ben presto che alle promesse non seguono le realizzazioni. Ci permettiamo di invitare a considerare le cose sotto un altro punto di vista. Quando il sentimento con cui ci si misura è quello della convinzione che siamo in una situazione catastrofica, si ha connessa la sensazione, magari sotto traccia, che sia impossibile risolverla in breve. Dunque intanto accontentiamoci che “gliele dicano chiare” e li mettano sotto processo di piazza (di nuovo: già visto con Tangentopoli).
Ecco perché Salvini e Di Maio possono tranquillamente accoppiare alle loro invettive l’annuncio che il mitico “cambiamento” si farà, ma gradualmente. In fondo è quello che, sotto sotto, i loro elettori e simpatizzanti sapevano già.
Vari osservatori hanno preso questi annunci come un soprassalto di senso della realtà, ma non è così. Certo essi consentono, al momento almeno, a quel poco di componenti razionali che il governo ingloba di gestire un ridimensionamento delle pretese sfasciste insite nella propaganda elettorale dei due partiti. Tria può così dire che il famoso contratto di governo verrà onorato, ma con le possibilità e i tempi dovuti. Vuole tranquillizzare i mercati e questi almeno parzialmente rispondono in maniera positiva.
Perché? Semplicemente perché ritengono l’Italia il paese delle commedie, che non va preso sul serio né quando vuole fare il virtuoso, né quando sceglie il ruolo del capitan Fracassa. Dunque navigano a vista, tanto hanno i mezzi con le tecnologie attuali per disimpegnare in fretta le posizioni finanziarie, mentre, e questo è il punto dolente, continuano a tenersi lontani da ciò che richiede impegni di lungo periodo perché in Italia non si sa mai dove si va a finire.
Non è una prospettiva tranquillizzante, perché da un lato la mancanza di flessione nel consenso non spinge la coalizione di governo a ridimensionarsi, e dall’altro la apparente tranquillità dei mercati finanziari (un po’ di saliscendi sullo spread non significa più di tanto) spinge ad un doppio immobilismo: quello dei leader governativi che si illudono di aver a che fare con le classiche tigri di carta e quello delle componenti responsabili dell’esecutivo altrettanto illuse di poter tenere sotto controllo la retorica barricadiera gestendo con un po’ di astuzia il solito “business as usual”.
di Paolo Pombeni
di Stefano Zan *