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Stati Uniti e Messico: troppo uniti per essere divisi?

Gianluca Pastori * - 25.03.2017
Enrique Peña Nieto

Anche se scomparsa dalle prime pagine internazionali, la questione dei rapporti fra Stati Uniti e Messico continua a rappresentare una delle priorità dell’agenda Trump. Durante la campagna elettorale, tale questione si è imposta quasi a paradigma della postura del nuovo Presidente e uno dei primi atti successivi al suo insediamento è stato rilanciare in maniera eclatante il tema del muro di separazione fra i due Paesi. Il cahier de doleances dell’amministrazione è lungo e articolato e spazia dalla sfera economica a quella della sicurezza interna, trovando il suo punto di saldatura nella questione dell’immigrazione, in particolare quella irregolare, che Trump si è impegnato a ridimensionare ricorrendo – se necessario – a provvedimenti draconiani. Dal punto di vista messicano, le cose sono rese più complesse dalla coincidenza con una delicata fase della vita politica interna. Il prossimo anno, in Messico, si terranno, infatti, le elezioni presidenziali, elezioni a cui il Presidente uscente, il contestato Enrique Peña Nieto, non si potrà ricandidare. In questo contesto, vari osservatori hanno ipotizzato che la linea dura dell’amministrazione USA possa, in ultima analisi, rafforzare la posizione dell’opposizione di sinistra, anche alla luce delle difficoltà che stanno sperimentando le altre forze politiche, primo fra tutti il Partito rivoluzionario istituzionale, tradizionale forza di governo del Paese. Forse per questo, nelle ultime settimane, le autorità messicane si sono impegnate in un massiccio sforzo diplomatico per cercare di migliorare i rapporti con Washington e rimuovere le principali ragioni di contrasto con il loro ingombrante vicino settentrionale.

Come è stato spesso rilevato in risposta alla postura isolazionista adombrata dalla nuova amministrazione USA, Stati Uniti e Messico hanno, oggi, parecchi interessi in comune, a partire da quelli in materia economica e commerciale. Nel 2016, il saldo delle partite correnti fra i due Paesi ha visto un disavanzo a carico di Washington di oltre 63 miliardi di dollari con un export dagli Stati Uniti di quasi 231 miliardi e un import di poco più di 294. Il Messico è il terzo fornitore di beni per il mercato statunitense e il solo comparto automotive, inclusi veicoli, parti e accessori (settore la cui protezione è tradizionalmente al centro della retorica trumpiana), contribuisce al totale per circa 75 miliardi di dollari, pari al 25% circa del totale del valore dell’import. Dopo l’entrata in vigore del NAFTA (North American Free Trade Agreement), intorno alla metà degli anni Novanta, anche i legami politici fra i due Paesi hanno conosciuto un discreto miglioramento. Questo, per inciso, in una fase in cui il monopolio politico del Partito rivoluzionario istituzionale si è rotto aprendo la via alle presidenze liberal-conservatrici del Partito d’azione nazionale con Vicente Fox (2000-2006) e Felipe Calderón (2006-12). La collaborazione fra i due Paesi si è espressa, fra l’altro, in una serie di accordi per il controllo dell’immigrazione e del traffico di armi e di droga; tutti ambiti che le autorità messicane considerano oggi prioritari e che Peña Nieto ha identificato come aree di possibile collaborazione durante l’incontro avuto nell’estate 2016 con l’allora ancora candidato Donald Trump .

E’ stato ampiamente sottolineato come la rottura di questi legami rischi di tradursi in una perdita netta – in termini politici ed economici -- per gli Stati Uniti e in particolare per quei ‘blue collars’ e per quella classe media impoverita che si sono dimostrati tanto sensibili alla propaganda di Trump. Oltre ai costi diretti per la costruzione del muro (da 10 e 12 miliardi di dollari per il Presidente; fino a 25 miliardi di dollari secondo le stime del Washington Post, anche se da nessun parte sono state specificate chiaramente le basi su cui queste cifre sono state calcolate), i costi indiretti derivanti dalla distorsione degli attuali flussi commerciali o dall’introduzione di barriere tariffarie – che pure sono state ventilate come mezzo di finanziamento dei lavori del muro – potrebbero avere ricadute pesanti sui consumatori statunitensi; ricadute pesanti sull’economia statunitense (quindi sui lavoratori statunitensi) potrebbe inoltre avere la contrazione della domanda espressa dal Messico dovuta alla contrazione dei suoi tassi di crescita. La manodopera messicana – legale e illegale – rappresenta, oggi, una fetta importante del mercato del lavoro USA, così come le conurbazioni transfrontaliere sorte a partire dagli anno Novanta nelle aree di confine fra i due Paesi (come quella di San Diego-Tijuana fra la California e la Baja California messicana) sono realtà la cui esistenza non può essere messa agevolmente in discussione. Sul piano politico, il peggioramento delle relazioni fra i due Paesi potrebbe, infine, tradursi in uno stop dell’attuale collaborazione proprio in tema di sicurezza della frontiera comune. Un risultato che non potrebbe essere più lontano da quanto desiderato da Trump e dalla sua base di consenso.

 

 

 

 

* Gianluca Pastori è Professore associato di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.