Ultimo Aggiornamento:
20 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

I summit nell’Europa lacerata

Michele Chiaruzzi * - 07.06.2014
Bruxelles G7

Alleati ma rivali è un libro importante sulla logica delle politiche d’alleanza. Il titolo richiama l’attenzione su molti temi cruciali e su un aspetto rilevante della politica internazionale, eppure spesso trascurato: la dinamica competitiva dei rapporti tra alleati, lo scambio ineguale che s’istaura tra chi possiede forza e chi meno, le divisioni che si celano sotto l’apparente unione d’intenti. Le riunioni a Bruxelles del G 7 e dei ministri della Difesa del Patto Atlantico sembrano aver mostrato anche questo aspetto. Perlomeno, così sembra agli occhi di chi cerca, osservando dall’esterno, di carpire gli aspetti più importanti e spesso meno lampanti di questi eventi internazionali. Alleati ma rivali, potremmo dunque dire, per dare sintesi di un fatto: l’argomento che ha dominato questi summit, vale a dire il problema delle relazioni con la Federazione Russa alla luce del conflitto ucraino, sembra per il momento aver divaricato più che unito la visione delle maggiori potenze coinvolte. Queste linee di divaricazione definiscono la distanza tra gli interessi delle principali potenze continentali europee, volte al dialogo diplomatico con Mosca e al mantenimento di rapporti di prim’ordine, e le relazioni antagonistiche e tese fra la Russia, i piccoli Stati confinanti, e quelli limitrofi come la Polonia.

Non a caso il presidente degli Stati Uniti, l’unica vera potenza senza interessi a rischio immediato nel conflitto ucraino, ha parlato prima di tutto da Varsavia, esaltando la difesa collettiva della «sicurezza dei nostri alleati dell’Europa centrale e orientale». Eppure – è questo un segnale diplomatico giunto contemporaneamente – del mantenimento di quella sicurezza e dei suoi costi politici ed economici tutti gli Stati europei sono oggi chiamati a farsi carico, essendo innanzitutto la sicurezza dell’Europa il problema politico che si ripropone con urgenza. Costi politici ed economici: è questo un tema rilevante che non emerge certo ora ma si acutizza in questa grave fase di crisi che, come tutte le fasi critiche, esalta ciò che in tempi normali talvolta si tace e spesso si evita. Il conflitto internazionale innescatosi sulla «questione ucraina» presenta dunque un prezzo agli Stati europei, quello di definire un’azione collettiva che sia conseguente all’affermazione che l’annessione della Crimea consiste, come recita un comunicato del G 7, in una «violazione dei fondamentali delle relazioni internazionali».

Il nodo centrale è che, accanto alla retorica di guerra e di pace, sempre diffusa con notevole facilità, si presentano appunto immutate alcune domande probabilmente essenziali: Qual è il grado di compatibilità fra una dinamica politica europea frutto della fine del bipolarismo e l’architettura istituzionale di un’alleanza del secolo scorso? è possibile pensare al sistema di Stati europeo di oggi come fosse quello di ieri, malgrado il fatto, per esempio, che la Germania e la Russia di oggi non siano più quelle di ieri? è ragionevole trascurare la plausibile constatazione che le relazioni internazionali dell’Europa si stiano progressivamente riorganizzando in senso gerarchico, pur con il filtro di un’architettura istituzionale assai vincolante della quale tanto l’Unione Europa quanto la Nato sono robusti ma non infrangibili elementi?

Da aprile, punto di svolta del conflitto in Ucraina, i ministri della Difesa del Patto Atlantico hanno deciso di sospendere la pluriennale cooperazione istituzionale della Nato con la Federazione Russa: «A causa dell’aggressione Russa contro l’Ucraina stiamo affrontando un nuovo scenario di sicurezza», ha poi ribadito il Segretario Generale dell’Alleanza Rasmussen in apertura del summit di Bruxelles. In realtà, la percezione di questo cambiamento varia – e non poco – in relazione alla collocazione politica e agli interessi di chi lo constata o lo dovrebbe constatare, in Europa, aldilà della Manica, e oltre l’Atlantico. Variano così le risposte offerte a questo cambiamento, comprese quelle di chi recupera vecchie risposte («la nuova guerra fredda») e di chi ancora non ne ha o non ne sa dare – il che è forse la stessa cosa.

Non è certo possibile, al momento, sapere cosa si sia detto, e cosa si dirà, negli incontri che gli statisti europei terranno col presidente Putin uno ad uno, su base bilaterale. Sappiamo invece che già questo fatto è emblematico di una certa lacerazione europea emersa anche da questi summit. Conosciamo, inoltre, un dato ricorrente nelle relazioni internazionali, seppur non necessario: gli Stati maggiori d’Europa hanno spesso sacrificato gli interessi degli Stati minori – a partire dal loro territorio – al fine di mantenere un equilibrio nelle relazioni internazionali europee. La Russia è parte integrante di questo sistema d’equilibrio, volenti o nolenti. Questo resta un dato di realtà col quale confrontarsi senza retorica e con prudenza. 

 

 

* Insegna Relazioni internazionali nell’Università di Bologna