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14 dicembre 2024
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I social e la politica

Stefano Zan * - 16.01.2019
Social e politica

Che la rivoluzione digitale abbia radicalmente innovato i meccanismi di informazione e comunicazione anche in politica è cosa troppo nota per essere ripresa. Vorrei però concentrare l’attenzione su tre aspetti correlati: il protagonismo, la fissazione dell’agenda, l’organizzazione.

Se fino a poco tempo fa l’accesso ai media era riservato ad un’èlite assai ristretta di persone oggi chiunque, attraverso i social può dire la sua o direttamente oppure approvando (like) o inoltrando idee e pensieri di altri. In qualche modo tutti sono diventati protagonisti e sanno che qualcuno leggerà quello che scrivono gratificando il narcisismo che li rende convinti di dire qualcosa di rilevante. Un presenzialismo senza filtri che, unito al format comunicativo dei social, sollecita gli istinti più viscerali delle persone e il loro contributo al dibattito politico si limita quasi sempre alla propaganda o all’insulto. Al di là di ogni valutazione di merito sulla qualità culturale, linguistica, politica di questa forma di espressione, resta il fatto che tutti si sentono protagonisti e partecipi ben al di là di quanto succedeva fino a pochi anni orsono e questo certamente ha cambiato e cambia il modo di pensare alla politica. Qualsiasi affermazione di qualsiasi politico in tempo reale finisce in rete e ne subisce il “vaglio critico” perché ognuno può dire la sua.

 

Per decenni la fissazione dell’agenda politica è stata prerogativa dei partiti politici che tenevano conto delle spinte, spesso anche molto conflittuali, che venivano dalla società. Era sulla base delle dinamiche sociali e dei rapporti di forza che le forze politiche definivano le priorità sulle quali governo e parlamento erano chiamati a intervenire in qualche modo. Un processo lungo, complesso, articolato, politico nel senso più proprio del termine attraverso il quale si costruiva faticosamente il consenso elettorale. Da un po' di tempo in qua le cose vanno in maniera diversa. Credo sia difficile sostenere che le priorità dell’economia italiana sono Fornero, migranti, reddito di cittadinanza. Su questi temi non c’è stata una manifestazione, una lotta, un’ora di sciopero. Eppure quando Lega e 5 Stelle hanno lanciato queste parole d’ordine hanno trovato il consenso prima della rete e poi degli elettori e sono entrate a pieno titolo nell’agenda politica. Ma anche le sette signore di Torino, con la loro iniziativa da libere protagoniste, hanno portato all’ordine del giorno non solo la questione della Tav ma anche delle associazioni imprenditoriali che non a caso si sono riunite a Torino per esprimere la loro contrarietà alle politiche del governo. In Francia una tranquilla signora che ha postato sui social la sua foto con un gilet giallo per protestare contro l’aumento del costo del carburante, ha scatenato, attraverso la rete, un sommovimento sociale che in poche settimane ha costretto il governo a rivedere la sua agenda politica.

Da un lato dunque i partiti vincenti sono pro attivi nel definire le priorità da inserire nell’agenda politica, mentre in passato erano tendenzialmente reattivi. Dall’altro lato chiunque, attraverso la rete, più o meno consapevolmente, può innescare dinamiche sociali che a seconda del consenso che ottengono possono assumere valenza politica. Apparentemente una contraddizione che sottolinea ancora una volta l’influenza della rete sulla politica e sulle sue trasformazioni.

Fino a poco tempo fa la realizzazione delle funzioni tipiche di qualsiasi partito politico aveva bisogno di una forte organizzazione. Informazione, propaganda, proselitismo, promozione di iniziative e manifestazioni, selezione e socializzazione dei quadri e dei dirigenti, democrazia interna, campagne elettorali, ecc. facevano capo all’organizzazione del partito che era l’unica struttura in grado di realizzare il disegno politico, la strategia. L’organizzazione era fatta di sedi, funzionari, dirigenti, militanti ma anche di norme e procedure che governavano la democrazia interna e i processi decisionali. Organizzazioni spesso consistenti ma sempre lente per rispettare le procedure (almeno formalmente) democratiche, e strutture costose.

Oggi si può arrivare ad essere il primo partito del parlamento praticamente senza strutture e costi organizzativi. Così come è possibile mobilitare migliaia di cittadini senza bisogno di una specifica organizzazione: basta la rete.

In realtà la rete supplisce ad alcune funzioni ma ad oggi non ci sono prove che sia in grado di gestire una vera democrazia interna tanto in termini di confronto che di processi decisionali. Anche le forme di pseudo democrazia diretta non vanno al di là di una logica referendaria, per altro con tassi molto bassi di partecipazione, e la selezione dei quadri attraverso la rete non garantisce in alcun modo adeguate competenze, esperienze, capacità. In ogni caso il peso e il ruolo della struttura organizzativa del partito sono diversi e meno rilevanti rispetto al passato.

Tecnologie digitali, protagonismo, fissazione dell’agenda, incidenza dell’organizzazione hanno modificato radicalmente il modo di fare politica. Alcuni l’hanno capito benissimo, altri non ancora.

 

 

 

 

* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it