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Generazione perduta. O no?

Gianpaolo Rossini - 11.05.2016
Thomas Piketty - Capital

Media e firme di rango continuano a insistere. E ai giovani tocca di subire quotidianamente un bombardamento fatto di falsità e proclami basati su proiezioni sballate che hanno come effetto unico di trasferire alle nuove generazioni vecchie e nuove paure e in più i rimorsi e i vuoti delle vecchie generazioni.   Che invece di risolvere i problemi pragmaticamente  non trovano di meglio che fare terrorismo informativo.

Cominciamo con un argomento tanto trito quanto errato, ma che ahimè continua come un vecchio ritornello ad uscire da bocche e penne senza distinzione di parte politica e spesso anche da colleghi un po’ appannati. Si tratta della questione del  debito pubblico. Alto o basso che sia è sempre presentato come un peso sulle spalle delle generazioni future. Un macigno che ogni giovane eredita da genitori incoscienti. Una  vera tragedia. Ma per fortuna è una balla colossale. Perché? L’Italia, nel suo complesso fatto di settore pubblico e settore privato,  è un paese  pressoché in pareggio nei confronti del resto del mondo.  Ovvero non è indebitata. Lo è all’indomani della seconda guerra mondiale a causa dei costi della ricostruzione e della necessità di importare beni strumentali  e di prima necessità  in un paese con una base produttiva fortemente danneggiata. Gli italiani adulti  “scaricano”  gli errori di una guerra crudele e costosissima sui loro figli. Ovvero sulla generazione dei giovani che non hanno fatto la guerra o ci sono entrati giovanissimi senza però esserne i responsabili. Questi  ricostruiscono  l’Italia dal 1945 agli anni 60. Questa generazione sopporta e paga il peso di un debito estero contratto per rimettere in piedi il paese in ginocchio per gli errori della generazione precedente.  E’ un vero trasferimento intergenerazionale di un carico finanziario su chi viene dopo. Che è costretto a consumare meno e lavorare di più per ripagare gli stranieri che ci hanno fatto credito. Si faccia attenzione: tutto questo avviene in presenza di un debito pubblico quasi inesistente.

Ma ora come stanno le cose? L’Italia ha un debito estero netto quasi nullo. Dunque  non ha obblighi finanziari che richiedano di  imporre alle generazioni future una riduzione dei consumi ovvero del benessere per ripagare al resto del mondo un debito contratto dalla generazione precedente. E il debito pubblico? Certo è’ alto. Ma non è un onere sulle generazioni che verranno. Infatti ogni italiano è gravato in media da un debito pubblico di circa 35800 euro (debito pubblico 21700 miliardi diviso per 60.5 milioni) e quasi zero di debito verso gli stranieri. Ma allo stesso tempo, in media, ogni italiano detiene attività finanziarie pubbliche (Bot, Btp, banconote) pari  alla stessa somma di 35800. E in più anche altre attività. Obiezione: ma come è possibile  tutto questo se circa il 35% del debito pubblico italiano è detenuto da stranieri? Vero. Ma  possediamo un ammontare corrispondente (forse anche maggiore) di titoli pubblici di altri paesi (Bund tedeschi, T bonds Usa etc.). Insomma ogni neonato nella culla si trova da una parte la sua fettina di debito pubblico italiano e dall’altra un ammontare di titoli pubblici italiani e no che i genitori, i nonni o gli zii hanno accumulato per lui e che gli trasferiranno.  E  quindi il peso del debito pubblico sulle generazioni future è una vera bufala. A ben vedere la condizione finanziaria e patrimoniale delle generazioni più giovani in Italia, e un po’ in tutta Europa, è ancora più florida. Basterebbe leggere bene il testo di Piketty sul capitale nel 21simo secolo  – quasi 900 pagine dense di informazioni e analisi preziosissime  molto osannato ma poco letto. Potremmo capire che la diminuzione in atto della popolazione autoctona in Europa detentrice del capitale finanziario (azioni, titoli pubblici, obbligazioni, depositi) e reale (terreni e immobili) renderà la generazione dei giovani di oggi e di domani ancora più ricca sotto il profilo patrimoniale. Infatti il capitale accumulato – dai residenti italiani – si ripartirà per successione ereditaria tra un numero inferiore di individui e quindi ciascuno disporrà di più. Un fenomeno che gli storici economici hanno osservato dopo le grandi pesti in Europa che nel trecento e nel seicento ridussero la popolazione in maniera rilevante.  Oggi se ne vede già l’operare.  E’ infatti responsabile in parte dell’eccesso di offerta di immobili che incide fortemente sulle tendenze deflazionistiche di cui soffriamo. Man mano che i vecchi se ne vanno lasciano agli eredi un patrimonio sovrabbondante perché suddiviso tra un numero di figli più basso.

Le generazioni future non devono preoccuparsi di pesi finanziari che non dovranno sopportare perché inesistenti. Al contrario meglio farebbero a cominciare addirittura a spendere di più in consumi e investimenti (ad esempio nel loro capitale umano) visto che disporranno di una ricchezza ereditata maggiore di quella dei loro padri.

 Ma media e colleghi poco avvertiti seguitano a invocare la “generazione perduta” come fosse la dodicesima tribù d’Israele.  Gli alti tassi di disoccupazione giovanile, affermano,  non saranno recuperabili se non su decenni di ripresa economica, ahimè però sempre incerta e debole.  Se non basta il presidente dell’INPS Tito Boeri  aggiunge messaggi terrorizzanti  per coloro che andranno in pensione tra 30-40 anni sulla base di conti discutibili e di proiezioni  che hanno un valore vicino a quello delle previsioni meteo ad un anno. Con l’effetto che gli individui si sentono minacciati nel loro tenore di vita futuro e quindi accrescono il loro risparmio e fanno pochi figli. Così facendo  aggravano la stagnazione economica e rendono più profondo il processo deflattivo dei prezzi.  Con il risultato perverso che la disoccupazione giovanile diminuisce poco. Purtroppo la deflazione inchioda i bilanci bancari rendendo il credito ancora più difficile proprio per le nuove iniziative imprenditoriali. Quelle che dovrebbero dare più ossigeno alla occupazione delle giovani generazioni. Il corto circuito mediatico  si chiude e diventa difficile ripararlo.

Faremmo meglio a spingere gli individui ad avere meno timore per il futuro dell’economia e a spendere per invertire una spirale in cui l’Italia e l’Europa si stanno avvitando per un eccesso di risparmio figlio di angosce irrazionali per il futuro. Lo ha affermato di recente anche il presidente della BCE Draghi. Cercando di fare aprire gli occhi a tedeschi, in primis, e ad altri paesi che stanno imprimendo all’Europa una deflazione drammatica complice il loro enorme ormai decennale risparmio generato da una bassa spesa  del settore pubblico e di quello privato. Con il risultato che l’eurozona viaggia, da troppo tempo,  con surplus con l’estero dell’ordine dei 500 miliardi all’anno. Di fronte al quale il resto del mondo sta perdendo la pazienza.  E spinge l’euro verso una rivalutazione che ci creerà non pochi problemi.  Ma si sa. L’Europa non smette di essere puntuale artefice dei suoi mali.