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Elezione Continua

Paolo Pombeni - 20.06.2018
Matteo Salvini

Chi pensava che finita la campagna per le elezioni nazionali e insediato il governo della nuova maggioranza avremmo avuto almeno una sensibile riduzione dei toni ha dovuto ricredersi. Salvini non molla e l’aver conseguito l’obiettivo di sedersi al Viminale non l’ha portato a mettere da parte i panni dell’agitatore politico. Di conseguenza sono costretti a seguirlo su quella strada sia gli avversari che gli alleati, se non si rifugiano in un silenzio più che sospetto.

Quale è la spiegazione per questo stato di cose che non si può semplicemente attribuire alla “natura” del leader della Lega, che è un politico che dosa le sue performance più di quanto non appaia? Quella banale è che Salvini sfrutta un momento favorevole che fa salire il suo partito nei sondaggi, dove secondo alcuni è ormai alla pari se non ha superato di poco il consenso espresso per i Cinque Stelle. Poi c’è stata la relativamente piccola scadenza della tornata di amministrative, che peraltro avrà una coda nei ballottaggi di domenica. Tuttavia si può osservare che tutto questo non basta a spiegare a fondo lo stato di cose attuale. Infatti per quel che riguarda le amministrative è probabile che la Lega sarebbe andata bene anche senza le sparate di Salvini e che nel complesso la crescita di consensi sarebbe raggiungibile anche con comportamenti più prudenti, tanto in buona parte è dovuta alla luna di miele col “cambiamento” e all’assenso verso proposte politiche di presa in carico di situazioni vissute con disagio dalla gente (problemi dell’immigrazione, ritorno a regole più favorevoli sul sistema pensionistico). Condizioni favorevoli che agirebbero anche con l’impiego di un linguaggio meno sboccato.

Fra il resto un atteggiamento meno barricadiero aiuterebbe il governo in carica, che non è in ottimo stato quanto a coesione interna, sia perché i Cinque Stelle cominciano ad accorgersi di essere stati i volonterosi portatori d’acqua al mulino salviniano, sia perché mettono in difficoltà quel po’ di componenti tecniche che pure hanno un ruolo non secondario nel rendere accettabile l’esecutivo al contesto internazionale.  Si tenga conto che qualche messaggio in questa direzione sta arrivando anche da ambienti che sostengono M5S e che adesso da un lato rivalutano Conte (non si sa bene su che basi, per la verità) e dall’altro spingono l’ala ortodossa a farsi sentire per smarcare il movimento dall’intesa con i furori leghisti.

Eppure Salvini, che queste cose le vede perché è politico navigato, non demorde. Certo il carattere avrà il suo peso, la voglia di protagonismo anche, ma non basta. A nostro giudizio si sta perdendo di vista il passaggio fondamentale che arriverà nei prossimi mesi. In autunno avremo le elezioni regionali in Trentino Alto Adige e in Basilicata. Nelle provincia di Trento alle politiche la coalizione di centrosinistra è stata sonoramente battuta e la Lega ha avuto un eccellente successo, il che le fa sperare di poter provare a guadagnare la guida di quella provincia autonoma: sarebbe un tassello importante nella strategia leghista di far perno su un rinnovato regionalismo a loro guida.

Soprattutto però nella primavera 2019 ci saranno le elezioni per il parlamento europeo. E’ un’occasione ghiotta per guadagnare una vittoria di immagine non troppo difficile. In quelle elezioni infatti il voto è in libera uscita, perché i cittadini che vanno a votare (non tantissimi) pensano di esprimere semplicemente delle “opinioni”, tanto quel parlamento conta poco. Non è esattamente così, ma questa percezioni fa sì che si possa votare sull’onda delle sensazioni: qualcuno ricorderà nella precedente tornata l’effimero 40% che galvanizzò Renzi e lo spinse a fare una bella serie di sciocchezze. Peraltro in conseguenza di quelle elezioni si rinnoveranno i vertici della Commissione e ci si inserirà nel gioco per la nomina del presidente europeo: anche qui una partita che sul primo versante consentì a Renzi di piazzare la Mogherini, cioè non esattamente una personalità allora di prima grandezza.

Ecco perché Salvini vuole e deve tenere il centro della scena, perché se vincesse in modo significativo la partita delle europee consoliderebbe il suo potere e potrebbe davvero presentarsi poi, ove vincessero i populisti anche in altri paesi come lui spera e come è possibile, nelle vesti del vero leader italiano della nuova Europa.

L’incognita è se ai Cinque Stelle conviene lasciargli campo libero per raggiungere quel traguardo e se a quote significative delle classi dirigenti italiane sta bene che si vada in quella direzione. Certo mettersi di traverso al gioco spregiudicato del leader leghista significa intraprendere la strada della crisi di governo e di conseguenza di elezioni nazionali anticipate da tenersi, con ogni probabilità, assieme alle europee. E’ una via rischiosa, ma può darsi che nel prosieguo del tempo si valuti che è meno rischiosa che lasciare campo libero all’agitazione populista di Salvini. La quale, sia detto chiaramente, ha due rischi immediati. Il primo è che in Europa non stiano a guardare e decidano di intervenire presto sui nostri equilibri economici, cosa che non è particolarmente difficile da fare (direttamente o con l’aiuto dei “mercati”). Il secondo è che, ove non si avverasse la vittoria dell’internazionale populista, anche questa ipotesi possibile, l’Italia si troverebbe poi isolata nel nuovo contesto europeo che, a quel punto, riprenderebbe a consolidarsi e a lavorare per marginalizzarci.