Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Ecuador, Bolivia, Paraguay: un viaggio alle origini del cristianesimo popolare.

Claudio Ferlan - 16.07.2015
Papa Francesco in Ecuador

Il recentissimo viaggio di Francesco in America Latina si pone a buon diritto sulla via inaugurata fin dai primi giorni del suo pontificato. Così come accaduto in Europa, infatti, il papa ha preferito visitare le periferie e i paesi più poveri quali sono Ecuador, Bolivia e Paraguay. Le linee pastorali dell’azione di Bergoglio risaltano ancora più evidenti se analizzate alla luce del suo rapporto con il continente di origine.

 

Teologia del popolo

 

L’elezione di Francesco ha di molto accresciuto l’interesse per la cultura teologica latinoamericana: prima del 13 marzo 2013 in Europa ben pochi tra i non addetti ai lavori avevano sentito parlare di teologia del popolo. Si conosceva magari la teologia della liberazione, ma più per le sue implicazioni politiche che per i suoi fondamenti teorici. Tra le numerose pubblicazioni che negli ultimi due anni sono apparse (per lo più tradotte) nelle librerie italiane, una più di altre ci aiuta a comprendere ragioni e termini del recente viaggio. Mi riferisco a “Introduzione alla teologia del popolo. Profilo spirituale e teologico di Rafael Tello” (Emi 2015, ma l’edizione argentina è del 2012), scritto da Enrique Ciro Bianchi con prefazione dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio. In sintesi, il pensiero di Tello – teologo al quale Francesco deve molto – si basa su tre capisaldi: teologia al servizio dell’evangelizzazione, fedeltà alla Chiesa (che per un papa è naturalmente intrinseca), opzione per i poveri. Quest’ultima caratteristica è ben evidente nelle scelte pastorali del pontefice: gli incontri con le comunità indigene in Ecuador, le visite ai carceri boliviani e paraguaiani, quella alla baraccopoli di Asunción. A queste si aggiunge il conforto dato ai bambini in ospedale e ai malati terminali.

 

Nuova evangelizzazione

 

Gli appelli alla nuova evangelizzazione non sono certo mancati: Francesco ha parlato di fede rivoluzionaria, della necessità di hacer líos – un’espressione che nella stampa italiana ha trovato una traduzione d’effetto ma imprecisa “fare casino”. Si tratta piuttosto di un invito a muovere le acque, a non lasciare che le cose ristagnino. È un invito ad agire per il bene evitando la pigrizia.

Secondo la teologia del popolo l’evangelizzazione non può prescindere dalla cultura popolare, né tantomeno fare affidamento esclusivamente sulla cultura ecclesiale. Che cosa significa? La storia ci risponde. In America Latina il clero partì con il piede sbagliato, alleandosi con i conquistatori, e ha proseguito il proprio cammino non senza incertezze, costituendo delle comunità spesso esclusive e solo a volte inclusive, legate più alle élite socioeconomiche che a emarginati e bisognosi.  E queste sono note recenti. Lo sa bene l’argentino Jorge Mario Bergoglio, che ha chiesto perdono per i peccati della Chiesa ai tempi del colonialismo, ricordando il celebre “mea culpa” pronunciato da Giovanni Paolo II in Africa. La teología del pueblo afferma che la Chiesa (o una sua parte), nonostante gravissimi passi falsi, ha saputo però anche avvicinare gli indigeni alla fede in Dio, accompagnandoli in un percorso di conversione al cristianesimo, senza fare piazza pulita delle culture delle origini e accettando forme di meticciato, o meglio dire di rinnovamento cristiano. Ha saputo riconoscere e accettare la cultura del popolo. Anche qui il passato serve a comprendere, come ricordato da Francesco che in Paraguay ha celebrato l’esperienza gesuitica delle Riduzioni e in Bolivia ha commemorato il confratello gesuita Luis Espinal Camps, ucciso per mano dei gruppi militari al soldo della dittatura (22 marzo 1980). Gli elogi si sono concentrati dunque, forse non casualmente, sull’ordine di Bergoglio, la Compagnia di Gesù.

I giorni in Bolivia hanno dimostrato come la natura composita della fede andina non sia affatto un problema per il vescovo di Roma, i veri idoli non sono le divinità precolombiane che, specie in quel paese, convivono pacificamente con i santi e le devozioni mariane. Le parole di condanna sono state pronunciate piuttosto contro la corruzione e le scelte spietate dell’economia, quelle che non si interessano né dell’uomo, né dell’ambiente. 

Francesco insomma continua con decisione a mostrare alla Chiesa cattolica una strada che porta alle periferie, o che forse addirittura ne sposta il centro da San Pietro verso la fine del mondo.