In Nigeria Buhari batte il presidente uscente: è la fine di Boko Haram?
Primo aprile 2015: Muhammadu Buhari è ufficialmente il nuovo presidente della Nigeria. Alla notizia qualche attento analista politico avrà senz’altro pensato a un pesce d’aprile. Che il 72nne ex generale Buhari abbia battuto per circa 2 milioni e mezzo di voti il presidente uscente Goodluck Jonathan appare davvero surreale. La ragione? È la prima volta dal 1960, ossia da quando la Nigeria ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna, che l’opposizione sconfigge il partito al potere nelle urne, e che un avvicendamento ha luogo senza un colpo di Stato. Lo stesso neo-presidente non è estraneo a precedenti inquietanti quanto a questa tipicità istituzionale della Nigeria che, ad oggi, ha “regalato” ai nigeriani ben 28 anni di regime militare (dal 1966 al 1979 e dal 1983 al 1998). Nel 1966 Buhari contribuì attivamente al colpo di Stato del colonnello Murtala Muhammed contro il regime di Aguiyi Ironsi e, a distanza di due decenni, presiedette il Consiglio Militare Supremo tra il 1983 e il 1985, giunta insediatasi al governo non di certo grazie a libere elezioni. Un’esperienza da lui difesa con un passaggio logico lapidario quanto disarmante: “Dipende dal popolo: se scegliesse i leader giusti non ci sarebbe bisogno di un regime militare”. Difficile d’altra parte dargli torto, dato che dal 1999 Buhari si è sempre candidato alle elezioni, nel 2003, 2007 e 2009, perdendo tutte e tre le volte: alla fine la sua tenacia è stata premiata.
Il popolo della Nigeria e la prova di maturità democratica del Paese sembrano dunque aver prevalso. Questo il messaggio che rimbalza dagli organi di stampa locali ai media internazionali dopo che, all’annuncio della vittoria di Buhari, ha seguito la telefonata di congratulazioni del presidente uscente, Jonathan, al suo avversario: un riconoscimento della sconfitta che, responsabilmente, intende dare un messaggio anche ai propri sostenitori di rispettare il risultato elettorale. Il timore di scontri e proteste tra le fazioni sostenitrici dei due presidenti non è affatto un’ipotesi irrealistica: nel 2011 i disordini esplosi dopo la vittoria di Jonathan sull’allora perdente Buhari infiammarono il Paese e alla fine degli scontri si contarono mille morti. Nonostante si continui ancora in queste ore a temere le purtroppo consuete violenze post-elettorali, o comunque un innalzamento generale della tensione, si registrano solo alcune manifestazioni pacifiche che denunciano alcuni brogli elettorali a sfavore del presidente uscito vittorioso o di quello perdente.
Proprio quanto non è auspicato dalla comunità e dai mercati economici internazionali, che non possono che guardare con attenzione a quello che è lo Stato più popoloso e ricco d’Africa e che non hanno mancato di congratularsi col presidente Buhari, alcuni addirittura prima che lo scrutinio degli ultimi voti permettesse di proclamare i risultati ufficiali, come a voler congelare con un riconoscimento il risultato elettorale prima che potesse essere messo in discussione. Il presidente statunitense Obama è tra questi, ma le congratulazioni sono giunte anche dal Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon, che non manca di aggiungere alle congratulazioni e agli auguri per un buon lavoro governativo anche i ringraziamenti per il presidente uscente per il corretto svolgimento della macchina elettorale. In realtà alle elezioni, già rinviate dalla metà di febbraio al 28 marzo scorso, il binomio urne-morte non è stato totalmente assente. Non ha perso occasione per intervenire nelle dinamiche elettorali, vietando di esercitare il diritto al voto, il movimento jihadista Boko Haram, diventato noto nell’aprile 2014 per il rapimento di un centinaio di studentesse che ha inorridito il mondo e scatenato una campagna social virale con l’hashtag #BringBackOurGirls. Ad urne aperte si sono registrati 23 brutali assassini nel nordest della Nigeria e la BBC segnala altre 24 vittime attribuite indeterminatamente allo stesso gruppo islamista o a scontri elettorali; il tutto a dispetto delle ingenti misure di sicurezza messe in atto per l’occasione, con 360mila poliziotti e militari dislocati ai seggi, oltre alla presenza degli osservatori dell’Unione Africana e dell’UE. Proprio la battaglia elettorale tra il presidente Jonathan, sostenuto dal maggioritario People’s Democratic Party rappresentante del Sud del Paese, cristiano e più ricco, e lo sfidante Buhari del “All Progressives’ Congress”, espressione dell’estremo nord, musulmano e più povero, è stata infervorata dalla “questione” Boko Haram. Buhari ha incalzato il suo avversario, al governo dal 2010, accusandolo di scarsa reattività di fronte all’espansione del movimento jihadista, che ha sconvolto le regioni del nord giungendo addirittura a proclamare un proprio Califfato con capitale a Gwoza. Una critica, affiancata dalla fama di Buhari di saper usare il pugno di ferro per salvaguardare l’integrità e la disciplina, che ha probabilmente conquistato buona parte dei voti di quei 69 milioni di elettori chiamati alle urne.
In attesa del passaggio di consegne che avverrà il 29 maggio ci si continua a chiedere se la nuova presidenza sarà in grado di mantenere le promesse elettorali basate, oltre che sull’annientamento di Boko Haram, sul rilancio dell’economia, su una vera e propria crociata contro la corruzione, su un’amministrazione efficiente e su una più equa distribuzione dei proventi della vendita del greggio tra tutti i territori federali, specie dinanzi al calo del prezzo del petrolio e ai deflussi di capitali già registrati.
* Redattrice di Unimondo e Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali
di Paolo Pombeni
di Luca Tentoni *