E i pensionati?
Un altro pezzo di società di cui non ho parlato nei numeri precedenti è rappresentato dai pensionati che sono assai numerosi nel nostro Paese, spesso relativamente giovani e altrettanto spesso in buona salute. Escludendo i casi estremi delle pensioni minime e di quelle d’oro che hanno ben altri problemi (o non ne hanno affatto) il pensionato “medio” quello cioè che ha una pensione dignitosa, ha molto spesso del tempo libero, ha delle competenze maturate in anni di lavoro, spesso è proprietario della sua casa ma anche di una casetta in campagna, al mare, in collina. Se la pensione è dignitosa è abbastanza saturo ma, non per sua scelta, è seduto. Il suo problema principale è dare un senso al suo tempo: se non è un hobbista sfegatato fatica a far trascorrere le ore della giornata. E’ possibile rimettere in piedi tutte queste persone senza che, ovviamente, sottraggano lavoro ai giovani, nel qual caso saremmo da capo? Proviamo a ipotizzare alcune possibilità. Intanto i pensionati, senza saperlo, sono una multiproprietà naturale. Se, attraverso una loro struttura di fiducia (il loro sindacato o la loro associazione e con software ormai banali) si scambiassero le rispettive case ai mari ai monti o in città per alcune settimane non solo vedrebbero a costo quasi zero nuovi posti ma allungherebbero anche una stagione turistica sempre più ristretta con beneficio dunque non solo per loro. Ma siccome molti pensionati vivono in case di proprietà spesso di grandi dimensioni perché in passato dovevano ospitare i figli, un’accorta operazione immobiliare, cogestita e supportata sempre da una struttura di fiducia, potrebbe portare a forme di co-housing degli anziani che avrebbe ricadute positive a costi estremamente contenuti. Intanto ridurrebbe la solitudine di molti. Faciliterebbe la mutua assistenza e comunque renderebbe meno onerosa l’assistenza esterna. Faciliterebbe forme di acquisto collettivo con risparmi non marginali. Tranquillizzerebbe le famiglie che non lasciano soli i genitori e, nell’insieme, rappresenterebbe una forma di welfare cooperativo che riduce sensibilmente il costo del welfare pubblico. Ma tempo e competenze sono altre risorse importanti. In affiancamento a nuovi imprenditori potrebbero svolgere funzioni di supporto e formazione on the job che non sempre le nostre scuole riescono a dare, con reciproca soddisfazione di entrambe le parti e a costo zero. Il pensionato sarà ben contento di sentirsi ancora utile e di andare occasionalmente (ovviamente non a tempo pieno) a bottega. Esistono poi tutta una serie di lavori pubblici di grande utilità sociale ma che i comuni non possono permettersi perché non hanno risorse sufficienti che potrebbero dare comunque senso alle giornate di molti pensionati. Esistono già esperienze significative, ma altre se ne possono immaginare, che a costi assolutamente contenuti creano utilità sociale senza occupare posti di lavoro che non ci sarebbero comunque. Molti pensionati dunque dispongono di risorse importanti: tempo, competenze, immobili che oggi non sono minimamente valorizzate e che potrebbero avere una grande utilità non solo per loro (il che sarebbe di per sé sufficiente) ma anche per la società in generale aiutandola a risolvere alcuni problemi (welfare ma non solo) che altrimenti o non vengono affrontati o vengono affrontati a costi assai elevati. E’ giusto e sacrosanto che l’attenzione primaria vada ai giovani. Ma sarebbe sciocco non valorizzare le potenzialità di una parte assai consistente della nostra popolazione ancora in grado di produrre ricchezza. Magari non quella misurata da PIL ma non per questo meno utile per il benessere collettivo.
* Docente universitario di Teoria delle organizzazioni
di Paolo Pombeni
di Stefano Zan *
di Stefania Pombeni