Dove va il centrodestra?

Dove va il centrodestra italiano? Ciascuno dei partiti che lo compongono appare scosso da lotte interne che riflettono profonde divergenze strategiche. Il Nuovo CentroDestra (NCD) guidato dal Ministro dell’Interno Alfano si trova diviso fra chi considera la fedeltà al governo (e a Matteo Renzi) irrinunciabile, e chi ritiene che il partito dovrebbe invece puntare a riavvicinarsi a Forza Italia, in vista della ri-costruzione del centrodestra. Forza Italia è divisa in ben più di due fazioni, secondo logiche che sarebbe difficile persino riassumere. Anche nella Lega Nord è presente uno scontro (tacitato solo parzialmente dai recenti successi elettorali) fra la linea del segretario Salvini, che sta trasformando il partito da “voce del nord” a partito di protesta genericamente conservatore (si vedano le recenti visite a Roma e a Palermo), e quella dei più moderati Maroni e Tosi.
La legge elettorale attualmente in discussione (il cosiddetto “Italicum”), se approvata definitivamente, potrebbe spazzare via quel che resta delle traballanti coalizioni italiane. La vittoria o l’eventuale accesso al ballottaggio sarebbero infatti garantiti solo alle liste (e non più alle coalizioni) che ottenessero più voti. Un sistema elettorale di questo tipo, considerato l’attuale peso elettorale delle forze di centrodestra (con nessuno dei partiti che supera il 15% dei voti), rischia di tagliare fuori Forza Italia, ma anche la Lega, persino dal ballottaggio − a cui, se si votasse oggi, accederebbe il Movimento 5 Stelle.
La principale linea di divisione che osserviamo nel centrodestra è la stessa che osserviamo nel (fu) centrosinistra. La crisi dei debiti sovrani scoppiata nel 2009 in Europa ha creato, nei paesi che hanno dovuto fronteggiare il rischio che il loro debito divenisse insostenibile, una nuova frattura (cleavage, in gergo politologico), che taglia trasversalmente l’asse destra-sinistra: potremmo definirla “frattura dell’austerità”. Da un lato abbiamo forze politiche che hanno accettato che l’unico modo per rendere sostenibile il debito nel lungo periodo fosse mettere un argine all’aumento della spesa pubblica, dall’altro ci sono forze che, rifiutando le spiacevoli conseguenze della “cura” di austerità, propugnano un rifiuto totale di questa posizione. Tale rifiuto può articolarsi in varie proposte − solo per citarne alcune: mutualizzare il debito a livello europeo, fare della BCE un prestatore di ultima istanza dei membri dell’Eurozona, uscire dall’Euro e riguadagnare sovranità monetaria.
Ora, mentre nel centrosinistra la forza che ha sostenuto gli sforzi di austerità (il PD) è rimasta egemone, nel centrodestra la spaccatura sta avendo effetti assai più distruttivi. La forza più pro-austerità, il NCD, è addirittura al governo con il PD, proprio in nome della stabilità di governo e della necessità di non rendere vani gli sforzi degli anni passati. La Lega Nord è non solo all’opposizione, ma su posizioni sempre più anti-sistema: invoca l’uscita dall’Euro (e quindi dall’Unione Europea), politiche di controllo restrittivo dell’immigrazione, l’abolizione di ogni progressività nella tassazione. Nel mezzo c’è Forza Italia, che in passato (nelle sue varie forme) è stata capace di fare da collante fra gli estremi appena descritti. Adesso, chiaramente, non ne è capace. Perché?
In primo luogo, perché l’austerità che l’Italia ha dovuto subire ha reso queste divergenze sempre più ampie, allontanando le “anime” della coalizione di centrodestra. Il fatto che una parte del centrodestra sia convintamente al governo e l’altra faccia opposizione al governo su tutti i fronti indica l’ampiezza di questa frattura. In secondo luogo, Forza Italia (e, nel periodo 2008-13, il Pdl) in passato aveva abbastanza forza elettorale da garantirsi l’egemonia sulla coalizione. Quel che si profila oggi è invece addirittura un sorpasso della Lega su Forza Italia, che rende la possibile conciliazione delle posizioni nella coalizione ancora più difficile.
Forza Italia è infatti lacerata fra l’essere forza politica “di sistema” (come un partito guidato da un tre volte presidente del consiglio non può non essere) e blandire la Lega e la componente più estrema del centrodestra, che sembrano avere, elettoralmente parlando, il vento in poppa. In questo esercizio di equilibrismo, il partito perde ovviamente consensi − proprio perché la sua identità appare indecifrabile. E sempre più difficile appare una composizione fra le due anime della defunta coalizione. Se questa unione può essere conservata, sia pure fra evidenti difficoltà, a livello locale, replicarla su scala nazionale sembra proibitivo.
Se l’Italicum sarà approvato, alle prossime elezioni il centrodestra dovrà tentare di ri-aggregarsi, per avere qualche possibilità di accedere quantomeno al ballottaggio. Ma a quale aggregazione assisteremo? La speranza di Berlusconi, nel momento in cui ha acconsentito al premio alla lista invece che alla coalizione, era di fungere da polo di attrazione e riunire tutto il centrodestra sotto un’unica insegna. Gli ultimi sviluppi, con la sempre maggiore estremizzazione della Lega e la rottura con NCD sull’elezione del presidente, sembrano rendere questo scenario molto improbabile. Il rischio è che, invece di unire le forze, i partiti del centrodestra vadano in ordine sparso concorrendo ciascuno alla reciproca sconfitta, oppure che Forza Italia scelga, per mero interesse elettorale, un “matrimonio” con la Lega più dettato dall’istinto di sopravvivenza che da una vera convergenza politica.
* Mattia Guidi è assegnista di ricerca in scienze politiche presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma
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di Massimiliano Trentin *
di Mattia Guidi *