Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Lo strano bipolarismo italiano ed il cleavage Europa/stato-nazione.

Pasquale Pasquino * - 10.02.2015
Joseph Schumpeter

L’articolo di Paolo Pombeni apparso su questo giornale del 7 febbraio solleva interrogativi importanti circa questioni di fondo e non di breve periodo per l’assetto del sistema politico italiano. Questioni sulle quali è utile, sembra a chi scrive, aprire un dibattito.

Il bipolarismo, di cui si discute in Italia ormai da molti anni, è il fondamento della democrazia competitiva, teorizzata da Schumpeter nel 1942, avendo in mente il sistema politico inglese. Quello americano, federale e presidenziale, rendeva inevitabilmente l’indagine più complessa, anche a causa del sempre possibile divided government e per la presenza, a quell’epoca eccezionale nelle democrazie liberali, del controllo di costituzionalità. Un fenomeno che sfugge peraltro a grande parte della politologia contemporanea, nonostante il fatto che quell’istituzione sia diventata ormai parte essenziale dei regimi che chiamiamo democratici.
Il bipolarismo significava possibile alternanza al potere senza conflitti violenti, grazie all’uso del voto popolare ovvero di quei paper stones che – date certe condizioni – prendono il posto dei conflitti violenti attraverso i quali si accedeva in passato, e ancora purtroppo oggi in alcune parti del mondo, a posizioni di comando politico. Schumpeter non lo diceva, ma questa possibile alternanza è stata assunta come la qualità nobile della democrazia, nella versione moderna e rappresentativa della sovranità popolare. Quest’ultima tesi – quella che lega le elezioni competitive alla cosiddetta sovranità popolare non mi convince, ma la lascio qui da parte, per non perdere il filo del ragionamento che vorrei proporre. In realtà, nella storia politica inglese, il bipolarismo si è strutturato intorno all’alternanza di partiti che noi chiamiamo – con i francesi, a partire dalla Rivoluzione – destra e sinistra.
Oggi, però, a cominciare dalla madre di tutte le democrazie bipolari, il Regno Unito, il cleavage destra/sinistra si scontra e si sovrappone ad un altro: quello nazione/Unione europea. Questo doppio cleavage (per il secondo con varianti, a nord ed al sud del continente, di destra: Ukip e Front National, e di sinistra: Syriza e Podemos – per non citare che i casi più massicci e vistosi) si ritrova in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea (mentre in America il bipolarismo sembra incagliato dentro le secche del divided government, ora che i partiti americani si avvicinano a quelli europei nel loro comportamento).

In alcuni paesi membri dell’Unione Europea, per esempio la Germania e la stessa Italia, oggi, e forse la Francia domani, partiti tradizionalmente opposti sull’asse destra/sinistra governano insieme, a favore di politiche pro-europee.
Questo stato delle cose politiche dovrebbe spingerci a riflettere sul fatto che modelli tradizionali di democrazia, di stato di partiti e di sistemi elettorali – da Schumpeter a Duverger – sono in certa misura consumati e vanno ripensati. La teoria e la riflessione politica dovrebbero uscire dal dormiveglia e ripensare la realtà del loro oggetto dinanzi alle evoluzioni in atto almeno nel vecchio continente.


Il caso italiano, in questo quadro più ampio, ha una sua inevitabile specificità. Il bipolarismo imperfetto era da noi un altro nome dell’impossibilità dell’alternanza (Joseph La Palombara parlava a proposito dell’Italia della cosiddetta prima repubblica di quasi-democracy: un sistema con libere elezioni che consacrava al governo lo stesso partito per tempo indefinito). La DC (la vecchia gloriosa “balena bianca”) occupava, infatti, il centro dello spettro politico e ha sempre rifiutato di auto-collocarsi dentro la divisione standard destra/sinistra. Era più al centro destra che altrove. Ma aveva assorbito o marginalizzato la destra estrema e lasciato al PCI il compito di addomesticare la sinistra estrema (la straordinaria impresa riuscita a Togliatti a partire dal 1944).
Oggi ci troviamo in uno scenario per certi versi simile, dopo un ventennio di presunto bipolarismo che ha creato un miserabile cleavage locale intorno alla figura di chi è stato primo ministro per la maggior parte di questo lungo e poco fruttuoso periodo. Mi spiego. Renzi (il leader del PdR, come lo chiama Diamanti con fantasia un po’ troppo giornalistica per i miei gusti) sta provando a creare un grosso partito di centro-sinistra con vocazione di governo – una reale rivoluzione culturale per la vecchia sinistra la quale per vocazione e debolezza di cultura politica preferisce stare all’opposizione ed esercitare la critica! Un grande partito che forse sarebbe potuta essere nel dopoguerra la DC di Dossetti, se non ci fosse stata la Russia di Stalin e se Dossetti invece di essere un fine intellettuale ed un santo fosse stato un politico puro, come Matteo Renzi.
L’Italia sembra in sostanza destinata a sperimentare un sistema politico diverso da quello del bipolarismo classico di matrice britannica, con la presenza di alternanze lunghe, ma anche a prefigurare una nuova forma di bipolarismo, che vede, da un lato, le forze favorevoli all’Unione europea, al di là della nazione (nonostante il vago nome di “partito della nazione”), e, dall’altro, i difensori, a destra e a sinistra, dello stato sovrano. Non ci sarà un partito Tory di fronte a Renzi e di questo non si può fare colpa e carico al segretario del PD, come per assurdo gli rimproverano alcuni. Renzi, nel migliore dei casi, grazie alla sua virtù politica e con un po’ di fortuna (usando il linguaggio di un più antico politico fiorentino) può mettere ordine in casa sua e svecchiare il sistema istituzionale del paese contro i sostenitori dello statu quo e delle repubbliche perfette – che poi sono la stessa cosa. Di fronte ed al di là del partito progressista filoeuropeo ci sarà verosimilmente una molteplicità di partiti diversi, destinati con la nuova legge elettorale al ruolo di opposizione parlamentare. Una legge meno maggioritaria produrrebbe semplicemente un sistema ingovernabile ed una da noi disastrosa replica del risultato elettorale del 2013 con una Italia divisa in tre o addirittura quattro parti o fazioni incapaci di governare insieme. E’ per questo che le critiche alla legge elettorale in via di approvazione alle Camere sembrano a chi scrive del tutto irresponsabili, per usare un eufemismo.  Di fronte al partito progressista filoeuropeo si costituirà probabilmente un raggruppamento “nazionalista”, che può emergere dall’unione della Lega (che ha soppresso il nord dal nome e cerca, per ora con dubbi esiti, un riconoscimento elettorale sotto la linea gotica) con la parte più retriva, parochial e impolitica della destra. Il problema nei prossimi mesi è il destino della sinistra radicale, che Renzi ha agganciato, per ora, offrendo a questa componente del partito un presidente per essa inattaccabile.

I prossimi mesi possono presentare ancora sorprese nella nostra penisola. Ma al di là della specifica vicenda italiana, credo che sia importante tenere d’occhio le mutazioni di fondo dei sistemi democratici in Europa e i destini incrociati del doppio cleavage destra/sinistra – nazione/Europa per il futuro della vita politica.

 

 

 

 

* Distinguished Professor in Politics and Law, at New York University