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Dopo la tempesta

Luca Tentoni - 04.01.2020
Mattarella discorso fine anno 2019

Il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato variamente interpretato dai leader (a ciascuno dei quali, come sempre, è parso opportuno valorizzare le frasi e i passaggi più utili per la propria parte politica e per i propri simpatizzanti). A distanza di qualche giorno, invece, ci sembra opportuno sottolineare la forza di uno dei temi oggetto del discorso. Il filo conduttore del Quirinale, esplicitato persino nell'ambientazione (col Presidente al centro di uno spazio ampio, come l'Italia nel mondo) è il rifiuto dell'isolamento, della retrotopia, del decennio di una politica fatta di odio e barriere. La contrapposizione fra – da una parte - il civismo e il rispetto delle esigenze degli altri e – dall’altra - "aggressività, prepotenze, meschinità, lacerazioni del tessuto sociale", è la chiave di una svolta di alta politica che il Quirinale intende suggerire al Paese. La guerra civile degli anni Dieci, costruita sulla crisi economica, sociale e culturale, sull'uso perverso dei social network per lucrare consensi avvelenando l'animo degli italiani e cercando di uccidere il senso della convivenza, deve finire per tutti. Per troppi anni una certa politica ha fatto di tutto per contrastare ciò che si legge su una sedia donata a Mattarella da un'associazione di disabili: "quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi". Ricordiamo tutti, avendoli vissuti o vivendoli tuttora, gli accenti e i giorni dell'odio, che non hanno risparmiato neanche il Quirinale catturando le menti e gli animi più fragili e disperati. Il mondo dei social, "occasione per ampliare le conoscenze, poter dialogare con tanti per esprimere le proprie idee e ascoltare, con attenzione e rispetto, quelle degli altri, alle volte si trasforma in strumento per denigrare, anche deformando i fatti, ricorrendo a profili fittizi per alterare lo scambio di opinioni, per ingenerare allarmi, per trarre vantaggio dalla diffusione di notizie false". Con queste armi potentissime è stata combattuta la guerra degli anni Dieci, alla quale Mattarella vuole porre fine. Se l'Italia degli anni Venti vuole avere un futuro, deve voltare pagina. Lo può fare affrancandosi dagli spacciatori di isolazionismo, di paura del diverso, della semplice ma letale arte di chi propugna "la tendenza a prendere posizione prima di informarsi". In pratica, da chi, lucrando sulle rovine economiche e sociali del Paese, vuole aggiungervi anche quelle culturali (il disprezzo dei "professoroni" e del sapere) e morali, distruggendo un tessuto connettivo che è ancora - in molte situazioni, in molti luoghi - fatto di solidarietà e di apertura all'altro. Abbiamo bisogno "di preparazione e di competenze", dice Mattarella, perché viviamo in un Paese che possiede un "patrimonio inestimabile di idee e di energie per costruire il futuro, che deve essere disponibile per tutti". Per troppo tempo, tuttavia, al sapere è stato dato poco spazio (e pochi fondi). Così, l'innocuo "fai da te" che un tempo era uno strumento prezioso, poiché permetteva a tanti autodidatti di acquisire conoscenze che la vita aveva loro negato, impedendogli un lungo percorso scolastico, si è trasformato nell'uso di strumenti trovati a caso sul web e ideati (senza curarsi della genuinità e della credibilità delle fonti) per contaminare non solo il comportamento elettorale, ma il pensiero stesso, l'atteggiamento, il modo d'essere delle persone. Sono gli effetti delle guerre, come racconta Eduardo De Filippo in "Napoli milionaria": alla vita di tutti i giorni, semplice ma dignitosa, subentra la borsa nera, l'illusione di prevalere al di là della morale e del giusto. Anche oggi, ci dice Mattarella, siamo all'inizio di un dopoguerra. Ecco perché oggi il Capo dello Stato ci esorta alla speranza, che "consiste nella possibilità di avere sempre qualcosa da raggiungere" e ci invita - con l'astronauta Parmitano - ad avvertire "quanto appaiano incomprensibili e dissennate le inimicizie, le contrapposizioni e le violenze in un pianeta sempre più piccolo e raccolto" (nel quale noi siamo ancora infinitamente più piccoli che nell'epoca lontana dell'eurocentrismo). La guerra è finita, andiamo avanti, liberiamoci dalle scorie, dalla cattiva politica, dall'indottrinamento. La cultura può e deve compiere un duro lavoro, perché i pozzi del Paese sono ormai gravemente inquinati. I giovani possono fare qualcosa, ma è tutta la collettività nazionale che deve alzarsi e mettersi di nuovo in cammino, aprendo le finestre e facendo entrare nelle case l'aria fresca del senso civico, della responsabilità, del gusto del sapere (contrapposto all'imbonimento), dell'incontro sereno e fattivo col prossimo. Come dice Mattarella, "il futuro, in realtà, è già cominciato".