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04 maggio 2024
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Chi siamo, dove andiamo? La Pasqua difficile della Chiesa russa

Francesco Cannatà * - 22.04.2020
Pasqua russa

“Non tradirete Cristo non recandovi in chiesa, ma lo farete se a causa vostra qualcuno si ammalerà”. Cosi il 31 marzo il responsabile delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, metropolita Hillarion, cercava di trovare un compromesso tra le usanze pasquali della Russia ortodossa e le esigenze sanitarie dello Stato. Secondo il calendario giuliano il cristianesimo orientale celebra la Passione di Cristo una settimana dopo quello occidentale. Quest’anno però almeno la metà delle parrocchie russe, obbedendo ai decreti dell’autorità secolare, ha vietato ai parrocchiani l’accesso in chiesa. Scelta difficile visto che la Settimana Santa è l’avvenimento principale dell’ortodossia slava e dato il livello di misticismo con cui i fedeli russi glorificano la resurrezione di Cristo. Comprensibili dunque i malumori dei credenti, i dissensi tra il clero e le precauzioni con cui i religiosi hanno affrontato i divieti. Misure su cui il Patriarcato inizialmente non ha nascosto il proprio dissenso. Cosi è successo dopo il messaggio alla nazione del 25 marzo con cui Putin incaricava i governatori regionali di far rispettare le restrizioni sociali. Al governatore di San Pietroburgo che il giorno dopo vietava fino al 30 aprile ogni ingresso nei luoghi di culto, il Patriarca si opponeva sostenendo che “in mancanza di una legge federale le autorità locali non possono limitare le libertà religiose e di coscienza”.

Un rifiuto da non intendersi però come il tentativo della Chiesa russa di sottrarsi alle responsabilità sociali utili a contrastare la diffusione della pandemia. Infatti sin dal 17 marzo alcune parrocchie avevano imposto l’obbligo di mascherina, il rispetto delle distanze e il dovere di sterilizzare garn parte degli strumenti sacri. Misure minime, sufficienti però a portare il virus della discordia tra i sacerdoti e nelle comunità. Per esempio per il priore della basilica moscovita di San Spiridione, la “tristezza” dei parrocchiani era giustificata visto che nei regolamenti ecclesiastici “non si parla di mascherine ne di Coronavirus”. Soprattutto però il religioso voleva “evitare scontri tra fedeli e la polizia” che in quel momento iniziava a isolare la basilica. Intuibile allora lo sconcerto dei fedeli quando l’11 aprile, vigilia della domenica della Palme, viene letto il testo dell’Enciclica con cui il metropolita Dionisij annuncia, in nome del Patriarca, che le autorità religiose fanno proprie le disposizione sanitarie secolari indispensabili a ostacolare il Covid 19 in Russia. È con “la morte nel cuore” che Kirill invita i fedeli a non recarsi ai templi tra il 13 e il 19 aprile, ma a “pregare in casa” seguendo in TV la liturgia pasquale. La posizione delicata del Patriarca, la sua consapevolezza di quanto dure siano queste richieste per la propria comunità, è dimostrata dall’esempio da lui portato qualche giorno prima: l’eremitaggio di santa Maria egiziaca nel IV secolo. Poca cosa, afferma il dignitario, i sacrifici chiesti oggi ai fedeli rispetto all’ isolamento - quarant’anni senza chiesa e comunione - sopportati dalla monaca nel deserto a est del Giordano.
Se la maggioranza delle eparchie ha accettato le raccomandazioni del Patriarca, non sono mancate le prese di posizione contro le disposizioni statali. Rifiuti che vanno dalla pura negazione dell’esistenza della pandemia agli inviti a sabotare il potere secolare. Per esempio l’arciprete Andrej Tkachev, nella trasmissione Risponde padre Andrej , in onda sulla TV online Tsar’grad, sottolinea: noi non siamo ribelli, ne rivoluzionari. Non vogliamo la guerra nella Chiesa(…) esistono però altre cose, esiste il potere mondano che ci chiude, esiste la resurrezione di Cristo (…) difficile immaginare di glorificarla in casa. Posizioni di aperta opposizione al potere sono state invece assunte dall’eparchia di Ekaterinburg che ha accusato lo Stato di voler utilizzare la scusa della diffusione del virus per chiudere le chiese.   

Secondo il diacono Andrej Kuraev, alla base della rivolta di alcuni dignitari ecclesiastici contro le misure decise dallo Stato, il negare la realtà della pandemia, vi è il basso livello di istruzione di molti religiosi. Un problema questo che la Chiesa russa si trascina dal periodo sovietico. Il filologo, biblista e collaboratore dell’istituto di Orientalistica dell’Accademia delle scienze russe, Andrej Desnitskij, ritiene che per molti rappresentanti del clero e credenti ortodossi la visita al tempio sia, se non l’unico, il momento fondamentale della fede. Qualcosa non va? Vai in chiesa e risolvilo. Per costoro il divieto secolare a entrare in chiesa equivale a negare l’esistenza di Dio. Le resistenze sociali alle proibizioni si spiegano anche col fatto che le gerarchie ortodosse dopo aver contrastato quelle imposizioni, le hanno accettate senza far comprendere ai fedeli i veri motivi della svolta. Il Patriarca, dopo due prediche e un viaggio in macchina, il 3 aprile, sul raccordo anulare di Mosca con lampeggianti accessi e l’icona della Madre di Dio esposta in vettura, ha abbandonato la scena pubblica. Dinamismo ha acquisito invece il movimento addetto alla sicurezza personale di Kirill, Sorok sorokov, che il 15 aprile con la petizione A Pasqua aprite le chiese ha raccolto 40mila firme. L’organizzazione ha sottolineato la contraddizione di un potere secolare che mentre si prepara a introdurre Dio nella Costituzione chiude i luoghi di culto. La struttura invitando i fedeli a recarsi alla liturgia aggirando ogni divieto afferma che per gli ortodossi non c’è nulla di più importante del pane celeste. Gli autori dell’appello notano che le norme vigenti non prevedono in nessun caso la possibilità di limitare la libertà dei fedeli. Tre giorni dopo, una lettera aperta al presidente Putin sottoscritta da 154 organizzazioni e personalità accusava il tentativo di dar vita a un totalitarismo elettronico

Come in gran parte dei paesi a maggioranza ortodossa, anche in Russia la chiesa è sotto l’influenza di correnti conservatrici o reazionarie, forze unite nel rifiuto del razionalismo e della modernità, mentre i suoi gruppi dirigenti sono relativamente moderati. Bisognosi della protezione dello Stato, questi ultimi, per arginare il fondamentalismo ortodosso, cercano anche il collegamento con i gruppi centristi presenti nella società.

Ora il Coronavirus potrebbe mettere in discussione questo equilibrio. Baci a icone, croci e reliquie. Somministrazione della comunione con un cucchiaio condiviso da tutti. Ecco le prassi che la peste potrebbe far diventare letali, ma a cui gli estremisti non vogliono rinunciare. Se i doni divini infettassero sarei morto da un pezzo, cosi un cappellano sanitario alla TV Tsar’grad. Quando a fine marzo il Patriarca ha proposto che dopo ogni singolo uso il cucchiaio della comunione venisse purificato a meno che i fedeli non ne utilizzassero uno proprio, i monaci del monastero della Trinità di San Sergio, uno dei centri più importanti dell’ortodossia russa, si sono opposti.

Lo svolgimento in fondo sereno della scorsa Pasqua testimonia che il conflitto interno alla chiesa russa, anche grazie alla fermezza statale, è per ora circoscritto. Almeno questo è quanto appare in superficie. 

Ad ogni modo le vicende lasceranno tracce sia nei rapporti tra Stato e Chiesa che all’interno all’Ortodossia . Nel primo caso una crepa si è insinuata nella pratica sinfonica che dagli anni ‘90 è tornata a caratterizzare le relazioni tra le due istituzioni. Altrettanto è successo alla visione mitica che parte della popolazione russa aveva della propria chiesa. Affermare, come ha fatto Kirill il 29 marzo, che la salvezza è possibile anche senza la chiesa, oppure definire chi vuole entrare nel tempio un criminale che calpesta le misure di sicurezza, come il 10 aprile ha detto il rettore dell’Accademia spirituale di Mosca, Pitirim, è un colpo per chi nell’ortodossia vi vedeva la purezza della tradizione. Difficile da digerire sarà anche il passaggio dalla resistenza patriarcale di fine marzo per cui le chiese non si chiudono per nessuna ragione all’accettazione dei diktat statali di inizio aprile. Altrettanto incomprensibile si rivelerà la metamorfosi subita dai calici e cucchiai divini, passati in qualche settimana da articoli sacri a oggetti portatori di virus. Naturalmente il Raskol del XVII secolo è lontano. Anche quella spaccatura però era partita da una formalità: il segno della croce si fa con due o tre dita? Oggi nella religiosità russa ortodossa non si respira aria di scisma, ma per i fondamentalisti l’approccio alla peste sarà la prova della credibilità della Chiesa russa. Servirà a far capire chi è fedele all’imperatore celeste e chi invece preferisce servire i potenti della terra.

 

 

 

 

* Dottore di ricerca in Storia dell’Europa orientale e autore di Nel Cuore d’Europa, Textus 2019.