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Cavalcare un futuro di incognite

Paolo Pombeni - 14.10.2020
Carlo Calenda

L’impennata dei contagi che per ora non accenna a spegnersi ha messo in stand by la politica, quella vera naturalmente, perché il piccolo cabotaggio continua. Di esso fanno parte i tormenti, chiamiamoli così, per organizzare la prossima tornata di elezioni comunali che vedono in lizza città molto simboliche a partire da Roma, Milano e Torino, a cui si aggiungono però Bologna, Firenze, Napoli e Trieste.

Non è che di per sé la scelta del sindaco di una grande città sia una faccenda irrilevante, ma quando si tratta di scelte che verranno fatte fra 7-8 mesi, c’è da chiedersi se i partiti si rendano conto che come sarà allora la situazione del paese è una grossa incognita. Per la verità i partiti lo sanno benissimo, solo che scaramanticamente evitano di porsi sino in fondo il problema, proprio perché non hanno elementi per immaginarsi come andrà a finire con questa pandemia che squassa non solo il nostro paese, ma l’intera Europa (e questo non è senza importanza, visto che è sui soldi di Bruxelles che si sta puntando tutto).

Così, verrebbe da dire tanto per ingannare il tempo, le varie forze politiche corrono alla ricerca non del candidato più adatto a gestire una fase difficile, ma di quello mediaticamente più capace di attrarre un elettorato che si presume sarà frastornato dal procedere dell’epidemia. L’attenzione si appunta su Roma, perché si tratta della capitale e della città che più di tutte ha mostrato dove possa portare mettersi nelle mani di politici improvvisati formati solo alla demagogia. Forse solo Napoli fra le altre città rilevanti ha qualche problema simile, sebbene il sindaco De Magistris, pur con un sacco di limiti, non possa essere neppure lontanamente paragonato al disastro Raggi.

In realtà la partita che si è aperta non riguarda affatto il tema di come dare ad una città il miglior sindaco possibile, ma piuttosto di come tenere in piedi la zoppicante coalizione di governo o, da parte dell’opposizione, di come minarlo un altro poco. In mezzo ci sta l’incognita di come il governo riuscirà a sfruttare i fondi europei.  Puntare sulle sue capacità di gestione dell’epidemia non è più possibile, almeno nei termini in cui lo fu nella prima fase. Ormai cosa c’è da fare lo si sa e non c’è da mostrare capacità decisionista o comunicativa, c’è solo da dar prova di efficienza, non esattamente il punto forte di questo esecutivo e nel complesso del sistema italiano. Basti pensare che cominciano ad uscire i dati non su quello che si è già speso, ma su quello che si è stanziato e che non si è riusciti a spendere. Per non parlare delle notizie che arrivano dalla pancia del paese: mascherine distribuite nelle scuole che sono stracci per cui chi può se le porta da casa, banchi con o senza rotelle che non arrivano, cattedre lasciate vuote e via elencando, nonostante un impegno notevole delle strutture scolastiche a supplire a questi deficit nel giorno per giorno con capacità che, in molti casi, vanno riconosciute.

Siccome in un sistema a base rappresentativa, come per fortuna è il nostro, le elezioni sono un termometro chiave per misurarne la buona salute, è ovvio che in assenza di elezioni nazionali, ogni test locale significativo diventi una pietra di paragone. Dunque la coalizione giallorossa deve rivelarsi in grado di uscirne bene, il che è un problema non indifferente, per la semplice ragione che il punto debole sono i Cinque Stelle, poco radicati nelle città e che scarseggiano, per dirlo in modo gentile, di personale con le credenziali giuste per posti di così grande responsabilità in tempi così difficili.

Naturalmente i candidati che non si hanno è sempre possibile inventarseli, tanto di gente affamata di palcoscenici a prescindere se ne trovano. Basti pensare alla proposta che gira per cui il centrodestra avrebbe offerto una candidatura a Roma per l’anchorman televisivo Massimo Giletti. Il centrosinistra deve a questo punto mettere in campo qualcosa di rilevante, ma ha difficoltà a trovare persone disposte a misurarsi con lo sfascio di Roma, dove le probabilità di avere stroncata la carriera sono enormi. L’unica personalità rilevante che sembra disponibile a tentare l’avventura è Carlo Calenda, che però non è esattamente la figura adatta per testimoniare la bontà dell’alleanza con M5S, anche a prescindere dall’ingombro della ricandidatura della Raggi, che da sola testimonia dello sfascio di quel movimento.

Si può provare ad annacquare tutto, scambiando le figurine come si fa tra i ragazzi: io ti mollo quelle di Roma e tu mi dai in cambio quelle di una o di varie altre città. Siccome qui però non è più tempo di credere che i partiti controllino massicci pacchetti di voti che vanno a chiunque venga loro in mente di scegliere, il gioco degli scambi funziona poco o nulla. E non si deve prescindere dal fatto che altri partner della coalizione di governo vorranno il loro quarto d’ora sotto i riflettori.

Mischiare questi giochetti da caminetti politici con l’esigenza di gestire al meglio un autunno-inverno che si preannuncia assai rigido non ci sembra molto saggio. Di fronte alla crisi che si prospetta, e che, lo ripetiamo, che avrà riflessi anche a livello EU, il problema non è salvare le poltrone dei governisti pentastellati, ma è quello di ricostruire una coesione nazionale come non si stanca di richiedere, sommessamente, ma fermamente, il presidente Mattarella.