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Cambia la situazione?

Paolo Pombeni - 17.02.2015
Guerra civile in Libia

Sino a due giorni fa sembrava che la situazione politica italiana si andasse incancrenendo su uno scontro frontale fra PD e FI innescato dalle impuntature di un Berlusconi in cerca di affermazioni. Ovviamente in questo scontro si erano subito buttati tutti quelli che ambivano a far saltare la leadership renziana: la Lega, il M5S, i dissidenti PD e via dicendo. Come talora accade in politica, un evento inaspettato, almeno in queste proporzioni, ha al momento cambiato il quadro di riferimento.

Ci riferiamo ovviamente a quanto sta avvenendo in Libia. La minaccia di avere sulla famosa “quarta sponda” (un nome preso dalla storia coloniale italiana che alla maggior parte della gente non dice nulla, perché non lo studiano neppure più a scuola) una forza organizzata legata al cosiddetto califfato islamico è un dato preoccupante. Chiama in causa il ruolo dell’Italia ed ha una forte presa sull’opinione pubblica scossa da quanto avvenuto a Parigi e a Copenhagen.

Un mondo politico che sembrava tutto intento ad azzuffarsi in parlamento ha nella sua maggioranza capito che era suicida rompere la solidarietà nazionale su un tema che tocca facilmente le corde sensibili dell’opinione pubblica. Il più veloce a capire il cambio di clima è stato Berlusconi, che ha intuito che si presentava l’occasione per uscire dal vicolo cieco in cui era andato a cacciarsi.

Non ci voleva una lucidità politica particolare per cogliere che battaglie confuse come quelle che FI lanciava sulle riforme istituzionali non servivano a recuperare ruolo. Non solo perché non era molto spiegabile come mai si trovassero adesso indigeste delle cose che non molto tempo prima si erano tranquillamente sottoscritte ( un aspetto che peraltro è colto solo da una parte qualificata dell’opinione pubblica), ma perché non è rilevata da gran parte del pubblico l’importanza delle riforme istituzionale (importanza che pure c’è).

Berlusconi dunque si trovava in una posizione poco felice, perché non era con impuntature come quella sul Quirinale che avrebbe ritrovato quell’immagine di “statista” che tanto gli sta a cuore. I fatti libici gli consentono di mettere in scena quella parte e di rivolgersi al suo elettorato con una “prova”per cui seguirlo non significa più discostarsi da posizioni di responsabilità nazionale che stanno a cuore ai “moderati”.

Naturalmente questo mette in difficoltà quanti si erano buttati a corpo morto sulle battaglie post-elezioni al Quirinale. La preoccupazione per la sfida jiahdista è diffusa nel paese e sottovalutarla non è possibile per nessuno. Sostenere che si può muoversi diversamente dalla scelta di fronteggiarla a muso duro è difficile da far accettare. Certo si può arzigogolare sul muoversi nel quadro ONU, sull’attendere l’esaurirsi delle vie diplomatiche, sul delegare ad altri il compito di battersi sul terreno, ma non sono mezzi che possono preludere a grandi risultati. Infatti un po’ tutti, con l’eccezione del M5S che per ora mostra una volta di più una sconcertante fragilità di cultura politica, si barcamenano a dire che sì, insomma, alla fine bisognerà essere uniti dietro il governo. Certo ciascuno sta facendo il gioco del “però io l’avevo già detto (e per primo)”, ma questo è un classico della ritualità politica.

Renzi si trova dunque nella insperata posizione di avere l’occasione per riaprire il dialogo con una opposizione che sembrava in grado di metterlo in seria difficoltà, mentre al contempo il dissenso all’interno del suo partito si trova privato della sponda essenziale su cui poteva far leva per il suo disegno di almeno ridimensionare il suo segretario-leader.

E’ presto per concludere che Renzi si è già lasciato alle spalle i terreni paludosi in cui stava cominciando ad avventurarsi. La Libia è una faccenda molto seria ed è anche il tassello di una situazione internazionale che ha altri punti delicati (Ucraina e Grecia tanto per citare i più ovvi). Il nostro paese poi non è che sia meravigliosamente attrezzato per lanciarsi in una avventura simil-bellica: oggi tutti sono per un qualche intervento, ma se questo, come è possibile, avesse un alto costo in vite umane non è scontato che il paese continuerebbe a sostenere il suo governo. In più gli interventi di quel tipo costano e non poco e le nostre casse pubbliche non è che abbiano grandi margini di riserva, per cui tutto potrebbe tradursi in aggravi di tassazione (e se ciò avverrà a fronte di una espansione produttiva, come a volte succede coi conflitti, è tutto da vedere). Un esito che certo non porterebbe, di questi tempi, consenso politico.

Nelle incertezze della situazione internazionale le opposizioni sia esterne che interne alla maggioranza di governo hanno maggiore facilità di manovra di quella concessa al premier. Loro infatti possono sganciarsi quando la situazione si faccia complicata e possono giocare sui “distinguo” veri o propagandistici che siano. Renzi non potrà mettere sul tavolo queste carte e dovrà sopportare il peso di orientare la nostra politica internazionale e di sicurezza in una situazione molto, ma molto difficile.

Certo, se riuscirà ad avere un risultato buono ed importante, sarà definitivamente incoronato come il nuovo leader dell’Italia che entra appieno nel XXI secolo. Ma questo si potrà vedere soltanto nei prossimi mesi con l’evolversi della situazione.