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Baruffe sul nulla

Paolo Pombeni - 15.05.2019
Editore di Altaforte

Possiamo consentirci una pausa nell’analisi dello stucchevole duello Salvini-Di Maio e delle conseguenti aspettative su una crisi o meno del governo giallo-verde? Lo facciamo dedicandoci a due temi, uno molto dibattuto, l’altro meno.

Partiamo dal polverone sollevato sulla presenza al Salone del libro di una casa editrice che pubblica in maggioranza libri legati all’ideologia dell’estrema destra. Nella grande commedia dell’arte che è diventato il palcoscenico pubblico italiano si sono immediatamente esibiti quelli che fanno la parte degli antifascisti difensori della costituzione e quelli che per contrapposizione devono fare la parte dei liberali che difendono a prescindere la libertà di pensiero. A noi sembra francamente che le cose siano un po’ più complicate.

Prescindiamo ovviamente dal fatto che il proprietario della casa editrice in questione sia un militante di una formazione dichiaratamente fascista, fosse pure “del terzo millennio”, come è Casa Pound, e che abbia partecipato a manifestazioni non esattamente pacifiche e rispettose della libertà di opinione promosse da quel movimento. Se ci sono responsabilità penali andranno indagate ed accertate dalla magistratura. Qui la questione è un’altra: hanno diritto il suddetto soggetto e la sua casa editrice ad esprimere e pubblicare opinioni che sostengono un’ideologia antidemocratica?

La risposta prudente è che possono farlo fino a che si tratta di dibattiti “astratti” e non si mettono in questione le nostre istituzioni. La prudenza è necessaria, ma è anche ambigua. Ovviamente di critiche alla democrazia costituzionale che non sarebbe un sistema veramente “buono”, fino al punto che alcuni sostengono che non sarebbe neppure veramente “democratico” ce ne sono in giro moltissime. C’è da immaginare che siano tollerate per due ragioni: la prima è che quelle critiche danno modo ai veri democratici di spiegare perché “invece” la democrazia è, con tutti i suoi problemi, il miglior sistema politico possibile; la seconda è che proprio questa dialettica consente di allargare il campo di legittimazione della democrazia che si rivela così forte da non temere coloro che provano a negarla.

Tuttavia questo incontra il limite, insuperabile, di poter circoscrivere il dibattito in maniera precisa: riconoscere una libertà di espressione a chi afferma cose sbagliate non significa legittimarlo ad essere sullo stesso piano di chi afferma cose giuste. Facciamo un esempio banale: non c’è ragione per impedire a qualcuno di sostenere che 2+2 fa 22, ma non per questo consegue per lui un diritto ad avere accesso ad insegnare matematica nelle scuole. I giornali danno (colpevolmente) spazio alle sciocchezze di quelli che sostengono che la terra è piatta (e non vale la scusa che lo fanno per dar conto di un po’ di … folklore), ma essi non hanno alcun diritto a pretendere un posto nel museo delle scienze.

Nel caso in specie la casa editrice legata a Casa Pound pubblica e vende legalmente i suoi prodotti, anzi grazie alle controversie dei giorni passati ne vende anche di più, ma non per questo ha “diritto” ad uno spazio in eventi o istituzioni che si rifanno ad un diverso e opposto universo costituzionale. Purtroppo invece la mentalità dei talk show, dove per ragioni di spettacolo vige il costume di accendere scontri fra gladiatori di diversa “armatura”, ha fatto passare l’idea che tutte le “opinioni” abbiano lo stesso diritto di adire ai mezzi di larga diffusione delle proposte.

Si è fatto passare questo per “democrazia” e naturalmente in parte lo è stato, quando si trattava di impedire che un gruppo dominante togliesse spazio a tutti gli altri. Ma attenzione: vale quando le idee che vogliono essere rappresentate non siano “eversive” (cioè non implichino lo stravolgimento del sistema accettato dalla comunità politica nel suo complesso), ma anche se queste idee abbiano raggiunto una consistenza tale da poter essere considerate espressione di una quota di opinione pubblica e non semplicemente di una minoranza marginale che pretende un riconoscimento che non ha saputo conquistarsi. Se non c’è questa caratteristica, non si può chiedere più che lo spazio neutro garantito alle libertà individuali, dove, se per avventura un’idea fosse davvero capace di concorrere al cambiamento del mondo, troverà modo per raggiungere la “densità” di consenso necessaria per richiedere fondatamente l’accesso a ciò che per intenderci definiamo il “palcoscenico pubblico”, di iniziativa privata o pubblica che sia.

E chiudiamo con un accenno a quella notizia poco dibattuta, ma importante che è la chiusura da parte di Facebook di una ventina di siti che diffondevano notizie false e istigazioni all’odio. Preoccupa particolarmente in questo caso che si tratti in buona parte di siti che fanno propaganda politica a favore della Lega o di M5S offrendo “prove” false a sostegno dei preconcetti e pregiudizi che si suppone stiano alla base del successo di quei partiti. Anche qui siamo sul delicato terreno della libertà di accesso a ciò che abbiamo chiamato “palcoscenico pubblico”. Comprendiamo però ancora meglio quanto sia scivoloso un certo modo di intendere quella che nella teoria classica si chiamava la “libertà di opinione”, perché qui di libertà di formarsi un’opinione non ce ne è proprio: piuttosto c’è un profittare della libertà di manipolare il formarsi delle opinioni facendo leva sugli istinti primordiali di chi non è formato ad usare la ragione critica.

Dimenticando che il costituzionalismo democratico moderno si è stabilito proprio sulla convinzione che fosse possibile arrivare nelle comunità politiche se non al dominio, almeno alla preponderanza della ragione critica.