Antieuropeismo di lotta e di governo: la Lega di Salvini e la moneta unica
Nel panorama politico italiano, la Lega Nord è oggi una delle principali voci critiche sulla moneta unica. Eppure, c’è stato un tempo in cui la Lega Nord, nata come movimento convintamente europeista, è stata la principale sostenitrice della moneta unica (“Tutta l’Europa, persino la Gran Bretagna, si illumina lentamente, ma fatalmente, della luce di Maastricht”, scrisse Bossi pochi giorni dopo il vertice nella cittadina olandese). Se la maggior parte delle forze politiche italiane viveva il percorso di convergenza per l’Unione economica e monetaria (e il trattato sull’Unione europea più in generale) come un vincolo esterno al quale era impossibile sottrarsi, per l’assenza di un’alternativa realmente percorribile, oppure come “chiodo nella roccia” al quale delegare - come dichiarò il ministro Carli - quelle riforme che, per le vie normali del Parlamento, il Paese non riusciva a portare a termine, il partito di Bossi sosteneva con forza quel trattato sia come elemento modernizzatore capace di colmare le tare italiane, rilanciando una diversa organizzazione federale dell’Italia, sia come trampolino di lancio per le economie delle Regioni settentrionali.
Infatti, l’esigenza di entrare nella moneta unica fu uno dei motivi principali, se non il principale, che portò Bossi alle decisioni sia di togliere la fiducia al governo Berlusconi, sia di avviare la controversa stagione secessionista, iniziata a fine 1995 ed esauritasi nella primavera del 1998, nel momento in cui l’Italia fu ammessa nella moneta unica insieme al “gruppo di testa”. Durante quel periodo, la Lega Nord propose con forza la teoria dei “due Stati, due monete”: l’Euro per il Nord, agganciato quindi al nucleo duro proposto dai conservatori tedeschi nel settembre del 1994 (il cosiddetto “documento Schauble-Lamers”, purtroppo disponibile online solo in tedesco, da leggere e rileggere anche solo per capire come le posizioni dell’attuale ministro delle Finanze tedesco siano esplicite da qualche lustro) e la lira per il Centro-sud, che sarebbe quindi rimasto fuori dalla moneta unica, ma che, grazie alle svalutazioni competitive - sostenevano da Via Bellerio -, avrebbe colmato il gap con il resto d’Europa e con la “Padania”.
Nel momento in cui l’Italia fu ammessa alla fase finale dell’Uem, la Lega Nord, anziché rallegrarsene, intraprese una prima svolta euroscettica, accusando Bruxelles di essere una “gabbia” peggiore del centralismo romano, nel limitare l’espansione economica del Nord. Così facendo, la Lega rivelava un approccio all’Europa e ai temi legati all’integrazione europea molto strumentale, non diverso da quello adottato dai “tanto odiati” partiti di Roma. Nelle fasi successive la formazione di Bossi radicalizzò ulteriormente il proprio euroscetticismo, unito a una connotazione sempre maggiore come partito non tanto (o non solo) etnoregionalista, quanto di estrema destra. Al punto che da euroscettica, la Lega iniziò a essere progressivamente antieuropea, mantenendo però motivazioni e narrazioni diverse rispetto all’antieuropeismo più tradizionale di matrice francese o britannica.
Negli ultimi anni, la posizione della Lega Nord nei confronti dell’Euro, dell’Ue e del processo d’integrazione nel suo insieme ha subito una drammatica accelerazione. Da quando Matteo Salvini ha assunto le redini del Carroccio, è chiaro che ci troviamo di fronte a un sensibile cambiamento di rotta, che ha fatto della Lega Nord un partito non più solo esplicitamente antieuropeo, ma quasi eurofobico (“l’Unione sovietica europea”, è la definizione del segretario leghista), in linea con l’estrema destra europea, che ha in Marine Le Pen la sua principale esponente (con la quale si è fondato, non a caso, un gruppo comune al Parlamento europeo) e che non di rado guarda a Mosca – le prese di posizione di Salvini sulla crisi ucraina sarebbero state semplicemente inaccettabili per la Lega degli anni ‘80 e ‘90.
L’antieuropeismo e le posizioni sui migranti e sulla comunità Rom costituiscono i due assi principali della propaganda politica di Salvini che, facendo leva sulle difficoltà create dalla crisi economica, riesce a ottenere quotidianamente enorme spazio mediatico, mentre la sua pagina facebook è in ascesa incontrastata (sfondato da diversi giorni il muro del milione di follower: erano poche decine di migliaia non più di un anno fa). L’aggravarsi della crisi greca e le progressive critiche all’atteggiamento della cancelliera Merkel hanno visto irrigidire ulteriormente le posizioni di Salvini contro l’Ue e la moneta unica, creando anche qualche malumore all’interno del partito, come in occasione dell’intervista rilasciata da Bossi al «Corriere della Sera».
Tuttavia, c’è da rilevare come nel 1996 e nel 2006 le ambigue posizioni del centro-destra sui temi dell’integrazione europea furono uno dei motivi principali che avevano portato alla sconfitta elettorale di Berlusconi e delle sue coalizioni. Matteo Salvini lo sa e agisce su due piani: da un lato sfruttando la crisi dell’Ue e la vicenda greca, per ricercare un facile consenso elettorale tra i giovani e i disoccupati. Dall’altro, sfumando nettamente alcune sue posizioni antieuropee, come nel caso dell’intervista rilasciata il 1° luglio 2015 a «il Sole 24 ore», per ricercare anche il sostegno del ceto medio e imprenditoriale; di coloro, in altre parole, che sanno perfettamente come senza moneta unica e fuori dall’Unione europea, non ci sia ad aspettare l’Italia nessuna miracolosa e irresistibile ripresa, ma solo un ulteriore aggravamento della situazione dei conti pubblici e la caduta libera della competitività internazionale delle imprese. L’obiettivo dichiarato è uno solo: governare, poi si vedrà.
di Paolo Pombeni
di Massimo Piermattei *
di Dario Fazzi *