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Ancora una volta: "Fate presto"

Francesco Provinciali * - 28.08.2019
Fate presto

La coerenza è una virtù difficilmente conciliabile con la politica che spesso sorprende per disinvoltura, cinismo, trasformismo: tutte sublimazioni del relativismo, della doppiezza e del situazionismo.

Una storia che ci trasciniamo dietro da secoli e che ha caratterizzato il nostro modo di essere, di pensare la “res publica”, di costituire una immagine di sé decisamente negativa al cospetto della storia.

Eppure il Risorgimento e la lotta di Liberazione furono esempi di virtù praticate, di ideali esemplari, di gesti di eroismo in nome di un superiore bene comune. Dal dopoguerra ad oggi contiamo 66 governi in poco più di 70 anni: di coalizione, monocolore, di transizione, elettorali, tecnici, balneari, elettorali, di garanzia.

Forse dimentico qualche passaggio ma cerco un’attenuante nella grande confusione attuale: il politologo Paolo Pombeni la definisce “torre di Babele” ma forse pecca di benevolenza.

Un coacervo di alleanze, scissioni, intrighi, cambi di casacca, compravendita di parlamentari dove anche la parola crisi ha avuto sembianze diverse: ora fulminea, ora latente, ora pilotata, ora di semplice, innocuo rimpasto: come conciliare i fondoschiena con le poltrone, per quantità, peso e numero.

In questi decenni di è assistito ad un progressivo distacco tra paese reale (il popolo) e paese legale (le istituzioni) se si eccettuano pochi esempi di reciproca empatia: l’umiltà di De Gasperi, l’etica di Aldo Moro, la questione morale di Berlinguer e i colpi di pipa sul tavolo di Sandro Pertini.

La dissoluzione delle ideologie, lentamente traslate da valori e visioni del mondo ad accomodamenti al principio di realtà, il sopravvento della globalizzazione, un’idea di Europa più sommativa che qualitativa, la trasformazione dei partiti da fucine di politica ad una sorta di indefinibile caravanserraglio privo di modelli sociali da proporre, il declino del concetto di carisma personale verso una deriva di cordate, vassallaggi, primazie fino ad identificare un simbolo elettorale con il nome del capo pro-tempore, dimostrazione lampante di assenza di ideali ed emergenza di reverenziali servitù verso guide plenipotenziarie.

“Tempora mutantur et nos mutamur in illis”: i tempi cambiano e noi cambiamo insieme a loro.

Chi avrà suggerito a Salvini questa massima diventata repentinamente mozione di sfiducia al governo di cui è Ministro degli interni e dioscuro politico? Eppure non gli mancavano consiglieri e colleghi di partito con cui confrontarsi. Un minuto dopo aver intimato a Conte lo sfratto da Palazzo Chigi, credo che il capo della Lega si sia capacitato di aver commesso un errore madornale: non ha tenuto in considerazione i poteri di consultazione e le scelte istituzionali del Capo dello Stato, immaginando che prendesse atto della crisi e indicesse subito nuove elezioni. L’assist offerto da Salvini (dopo aver giurato fedeltà e coerenza al governo anche utilizzando simboli religiosi) al resto dello sparigliamento parlamentare è paragonabile al più clamoroso degli autogol. A cominciare dal non pensare che se Mattarella dovesse conferire un incarico, tra le tante ipotesi non sarebbe da scartare un mandato all’attuale partito di maggioranza relativa, i 5 stelle, specie se si materializzasse una sorta di rassemblement anti-destre su cui sta lavorando Renzi con la benedizione di Prodi, il silenzio di Zingaretti, la tessitura del pontiere Franceschini.

Oppure- come sembra dai primi contatti- direttamente un accordo bicolore PD – Cinque stelle che sta lentamente prendendo forma pur essendo stato fino ad ora impensabile, visti i pregressi veti reciproci.

Insomma un ribaltone a regola d’arte con i grillini dati in calo e ora al centro delle alleanze o dei nuovi possibili contratti e dei corteggiamenti.

Il panorama è desolante, le soluzioni alla crisi su cui lo stesso Salvini sembra disposto a far retromarcia (ma il suo cellulare non squilla) imperscrutabili e certo non di “pronta beva”, mentre proliferano nuove formazioni, a cominciare da “Cambiamo” di Toti fino all’azzardo di una discesa in campo di Briatore in nome del “fare”(anche se ricordiamo l’irrilevante risultato ottenuto da Oscar Giannino che voleva appunto “fare, per fermare il declino”): non c’è riuscito lui e non ci sono riusciti neppure i “maghi Zurlì” del governo del cambiamento, all’atto pratico rivelatasi una delle più fallimentari e contradditorie soluzioni politiche del dopoguerra.

Il marasma attuale è incommensurabile mentre i problemi sul tappeto sono quasi drammatici: la crisi del lavoro, la disoccupazione giovanile crescente, l’ininfluenza del reddito di cittadinanza (un marchingegno  complicato che eroga sussidi a lavoratori in nero mentre i navigator attendono che qualcuno indichi loro il bacino di pescaggio delle nuove offerte di lavoro), l’aumento dell’IVA incipiente, la crescita pari a zero, l’immigrazione legata al palo dei punitivi accordi di Dublino, la disgregazione morale e sociale della Nazione, l’Europa lontana e tutt’affatto disposta a concedere sconti o deroghe.

Di nuovo si parla di politica del rigore: persino il duro ma lungimirante Fanfani aveva teorizzato che del limone si spreme la polpa ma non la buccia.

Dopo l’apertura della crisi politica ci troviamo in mezzo al guado senza vie da imboccare risolutamente: colpa del sistema elettorale, colpa degli egoismi e dei narcisismi individuali, colpa della disaffezione totale della società civile pronta a smentire – ove si andasse al voto – i sondaggi di cui si facevano scudo coloro che direttamente o indirettamente, per finta o per gioco (come una sorta di eccitante burlesque) contavano di far man bassa e bottino pieno.

L’Italia non ha mai avuto una vera rivoluzione e il relativismo etico della politica ha sempre tirato fuori dal cilindro il coniglio bianco della soluzione posticcia dell’ultima ora, altrimenti invisibile.

Il mondo ci guarda con interesse tra il divertito e la commiserazione: non siamo peggiori degli altri ma facciamo il possibile per esserlo.

La gente sente notizie allarmanti: l’estinzione delle biodiversità, il rialzo climatico, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari. E poi ascolta ogni giorno il tam tam delle violenze, delle ingiustizie, le chiusure delle aziende, la perdita dei posti di lavoro, il PIL azzerato ed è pervasa da rabbia e sfiducia.

“Fate presto”: era il titolo allarmante e ultimativo del SOLE 24ore del 10 novembre 2011, quando lo spread toccò quota 575. “Fate presto”, possiamo ripetere ancora oggi: il teatrino della politica, i giochi dei saltimbanchi e le loro imprevedibili piroette ci hanno stancato davvero.

Forse serve un miracolo oppure bastano persone rette e competenti: realisticamente sembra più probabile la prima ipotesi ma si spera che la coscienza di chi negli emicicli parlamentari ci sta rappresentando abbia finalmente come un sussulto morale e – perché no – patriottico.

 

 

 

 


* Ex dirigente ispettivo MIUR