L’Italia al 77° posto per libertà della stampa nel 2016
Nel 2016 crolla la libertà di stampa nel mondo. Ad affermarlo è Reporter Senza Frontiere (RSF) che nel suo indice annuale ne ha rilevato un profondo declino sia a livello globale che regionale. La crescita di regimi autoritari, lo stretto controllo dei governi sui mezzi di informazione statali e l’ampia strumentalizzazione dei media in funzione propagandistica si uniscono all’accentramento dell’informazione nelle mani di pochi “oligarchi”. È a partire dal 2013 che l’associazione RSF, attiva nel monitoraggio di una delle principali libertà civili, calcola il livello complessivo delle violazioni della libertà di stampa in tutte le regioni del mondo: più alta è la cifra, peggiore è la situazione. Ebbene, l’indicatore globale è passato dai 3719 punti dell’anno scorso ai 3857 di quest’anno, segnalando dunque un deterioramento del 3,71%. Ben più impressionante è il declino calcolato dal 2013 che peggiora ben del 13,6%. Pluralismo, indipendenza dei media, ambiente mediatico e auto-censura, ambiente legislativo, trasparenza, infrastrutture e abusi sono i criteri di riferimento attraverso cui è valutato il livello di libertà dei giornalisti nei 180 Stati esaminati.
Se i fanalini di coda di questa classifica non sorprendono (Cina, Siria, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea), si registra una migliore condizione dell’Africa rispetto all’America Latina, laddove nei Paesi dell’America centrale e meridionale la stampa è bersaglio delle violenze delle istituzioni e della criminalità organizzata. In ogni modo sono solo 8 gli Stati africani nelle prime 50 posizioni dell’Indice, con la nota positiva della Namibia ben al 17° posto, subito sotto la Germania. Ben più preoccupante appare l’ulteriore calo dell’Italia dal 73° posto dello scorso anno al 77° nel più recente Indice, sempre nella sezione degli Stati colorati di arancione, ossia con “evidenti problemi”. Le ragioni di questa collocazione stanno nelle pressioni, minacce e violenze subite dai cronisti, e ci si riferisce espressamente alla decina di giornalisti posti sotto la protezione della polizia e inoltre al caso Vatileaks, in cui i reporter Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi rischiano fino a 8 anni di carcere (testualmente dal report) “per la pubblicazione di libri che rivelano i malaffari della Santa Sede”. Nell’Unione Europea, peggio dell’Italia solo Cipro, Grecia e Bulgaria. Ai primi posti della classifica svetta invece il Nord Europa con la Finlandia, seguita da Olanda, Norvegia e Danimarca.
Ed è proprio a Helsinki, nella capitale della Finlandia, che ieri, in occasione della Giornata Internazionale sulla Libertà di Stampa, è stato conferito il Premio a Khadija Ismayilova, giornalista investigativa dell’Azerbaijan. Condannata a 7 anni e mezzo di carcere per numerosi reati, tra cui evasione fiscale, appropriazione indebita, abuso di potere e attività economica illegale, di fatto la reporter da tempo stava rilevando alcuni affari illeciti della famiglia del presidente Alyev. Come nel caso della Ismayilova, la volontà di difendere l’indipendenza dei media e di rendere omaggio ai giornalisti che mettono a rischio la propria vita nel compimento del lavoro è l’obiettivo della Giornata mondiale, proclamata dall’UNESCO nel 1993. Negli ultimi anni l’attenzione pubblica internazionale è stata posta in particolare sulla necessità di avere un’informazione di qualità. Niente di più vicino alla nostra realtà fatta di social network usati spesso come principali fonti di informazione piuttosto che come strumenti di comunicazione, con un analfabetismo reale nel distinguere e nel promuovere notizie reali da “bufale” e “articoli di propaganda”, o analisi competenti da trattati di improvvisati tuttologi. È questo uno dei rischi connaturati a una gestione dell’informazione diffusa e in mano a dei non professionisti. Un enorme pericolo che sottende la tendenza odierna a identificare la libertà di stampa con la garanzia di accesso agli strumenti di comunicazione; pari attenzione andrebbe invece posta sulla qualità delle notizie veicolate e sulla possibile manipolazione dell’informazione, da sempre un’arma che pare essersi affinata. Dinanzi a questa realtà, si ha dunque l’esigenza che il giornalismo faccia più che mai il suo lavoro certosino di verifica, rielaborazione e diffusione delle informazioni, ben coscio del rischio di scadere in azioni di propaganda a favore tanto della politica quanto di capitali importanti o di interessi di parte.
Sono lontani gli schemi dialettici della guerra fredda, quando il delegato statunitense e quello sovietico rivendicavano per sé la vera essenza di tale libertà, mettendo il primo l’accento sulla garanzie di poter pubblicare contenuti in maniera libera e il secondo sull’effettiva messa a disposizione a tutti i cittadini degli strumenti per farne uso. Il web ha conferito al cittadino globale la possibilità di esercitare la libertà di comunicazione ad ampia diffusione, lo smartphone lo strumento per utilizzare tale libertà, ma ampliando la pagina più controversa della libertà di stampa sull’indipendenza e sulla qualità dei media, sulla distorsione delle informazioni e sulle sue strumentalizzazioni.
di Paolo Pombeni
di Gianpaolo Rossini
di Miriam Rossi