Alce Nero. Un santo tra i Lakota?
Forse tra qualche anno nel calendario dei santi cattolici vi sarà spazio anche per Alce Nero (Heáka Sápa in lingua lakota, Black Elk in inglese, probabilmente 1863-1950), uomo della medicina della tribù oglala, nazione lakota, alleanza sioux.
Primi passi per la canonizzazione
Robert D. Gruss, vescovo di Rapid City, ha celebrato lo scorso 21 ottobre la messa solenne per richiedere l’apertura del processo di canonizzazione. Il 14 novembre Gruss ha poi presentato la causa all’assemblea dei vescovi statunitensi, ricevendone l’approvazione e il cammino si è dunque avviato. La diocesi di Rapid City e il suo vescovo non sono affatto marginali nella geografia ecclesiastica. Grussè stato a Roma vicerettore del Pontificio collegio americano del Nord e cappellano di Benedetto XVI prima di prendersi carico della diocesi di Rapid City (2011), dove lo avevano preceduto Charles A. Chaput (oggi arcivescovo di Philadelphia) e Blase J. Cupich (Chicago). Nella messa del 21 ottobre Gruss ha evidenziato la forza missionaria di Alce Nero, capace di “mostrare alla sua gente che non bisogna scegliere tra i due mondi, che si può essere di entrambi”. “Non ha abbandonato i suoi costumi nativi quando è diventato cristiano - ha continuato il vescovo nella propria omelia - erano due cose che procedevano di pari passo, mentre pregava l’unico Dio”. Testimone esemplare in una diocesi di missione periferica, qual è quella di Rapid City, dove vive una delle più grandi comunità di cattolici nativi americani.
La vita
Qualcuno avrà probabilmente familiarità con Alce Nero grazie al libro Black ElkSpeaks (Alce Nero Parla), pubblicato da John Neihardt nel 1932 (prima edizione italiana del 1968). Il libro ebbe grandissimo successo, alla luce dell’eccezionalità della biografia di Alce Nero, protagonista o testimone oculare di momenti fondamentali della storia americana quali la disfatta di Custer a Little Big Horn (1876) e il massacro di Woundeed Knee (1890), ultimo episodio delle guerre indiane. Ma il libro racconta non solo una vita, quanto piuttosto un viaggio spirituale nel quale emerge la centralità della visione per la religione lakota. Basato su una serie di interviste raccolte nel 1931, lo scritto di Neihardt narra una storia personale venata dalla malinconia, causata dalla consapevolezza di Alce Nero di avere ricevuto un dono speciale proprio attraverso la visione ma di non essere riuscito a rivelarlo pienamente alla propria gente per aiutarla a raggiungere la salvezza.
Ciò che viene completamente tralasciato da Neihardt è l’adesione di Alce Nero al cattolicesimo, databile intorno al 1905, una mancanza che valse all’autore il rimprovero dell’anziano uomo della medicina. Questi infatti per un cinquantennio si spese nella catechesi a fianco dei gesuiti impegnati della riserva lakota, guidato dall’interesse per le sacre scritture cristiane. Ciò non comportò l’abbandono dei rituali propri della sua religione d’origine, anzi. Come sottolineato dal vescovo Gruss, Alce Nero fu capace di “fondere le culture cattolica e lakota penetrando profondamente nel mistero dell’amore cristiano”.
Le prospettive
Chi vive nella parrocchia in cui Alce Nero fu attivo è concorde nel dire che la sua aura di santità è inequivocabile, tangibile. Forse anche per questo non tutti sono favorevoli alla (possibile)canonizzazione. Serve davvero dichiararlo canonicamente santo, ci si domanda. Qualcuno nella comunità lakota vede l’eventualità come una prosecuzione del ruolo della Chiesa nel processo di colonizzazione, caratterizzato anche dall’appropriazione delle culture altre allo scopo di modificarle a proprio piacere e vantaggio. Tra i cattolici lakota vi è poi chi evidenzia come la Chiesa non abbia mai ammesso la propria responsabilità nelle persecuzioni del passato. Sarebbe quello, si dice, il primo passo da fare. Altri invece guardano al processo con favore, sostenendo come Alce Nero sia stato unico nella capacità di unire le tradizioni, portando a compimento la ricerca di Dio propria della spiritualità lakota: un mistico, un missionario e un santo. Nel suo insegnamento vedono concretizzata la speranza di poter essere indigeni e, allo stesso tempo, cattolici, cittadini del mondo, diplomatici, scienziati o quant’altro. Menzionano poi l’attenzione dimostrata da Francesco alle culture indigene, concretizzata in tanti gesti, tante iniziative e nell’insegnamento dell’enciclica Laudato Si’, auspicando di vedere riconosciuto sempre di più il proprio ruolo nella comunità cattolica.
La canonizzazione è l’esito di un processo complesso e di norma piuttosto lungo. Il caso di Alce Nero, come molti altri, induce a riflettere sul senso di una procedura vecchia di cinquecento anni e più, nella quale entrano necessariamente in scena anche i miracoli, storicamente scovati con sforzi persino fantasiosi in biografie che di fatto ne furono o sono state prive. Sembrano altre le virtù per le quali celebrare l’eccezionalità della testimonianza e dell’eredità di persone riconosciute come santi dalle proprie comunità, specie da quelle per le quali i canoni della santità occidentale hanno un significato appena sfumato.
di Luca Tentoni
di Claudio Ferlan