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Una ripartenza più che complicata

Paolo Pombeni - 26.08.2020
Alleanza Dem - 5stelle

Con l’arrivo di settembre ricomincia la vita normale: basta guardare alla programmazione televisiva che riprende con le trasmissioni consuete. Così è anche per la politica, ma quest’anno tutto è più complicato del solito. C’è l’incognita sull’andamento dell’epidemia che ha ripreso ad espandersi, quella sugli assetti dell’economia (solo Gualtieri vede rosa con riprese del PIL da impennata), ma soprattutto quella dell’esito della tornata delle amministrative e del referendum costituzionale del 20-21 settembre.

A questi impegnativi appuntamenti non si arriva molto bene. Sull’epidemia ci viene detto che adesso siamo preparati, ma non è chiarissimo a cosa: basta guardare alla confusione sulla ripresa dell’attività scolastica. Quanto all’economia siamo sballottati da una previsione pessimistica ad una catastrofica e anche qui di condivisione delle linee di intervento non è che si veda gran che: governo, associazioni dei datori di lavoro, sindacati non sembra trovino una solida intesa e sono ciascuno arroccati su posizioni corporative.

Quanto al versante politico la situazione è a dir poco confusa. Le opposizioni di centrodestra sono al momento coalizzate nel tentativo di mostrare coi dati delle urne di settembre che ormai nel paese la maggioranza dei consensi è loro. Naturalmente il campione è molto esteso, ma non totale e in molti casi nelle elezioni comunali non sarà chiarissimo vedere chi vince cosa (ma anche nelle regionali non è che i candidati di sinistra siano andati tanto per il sottile per aggregare consensi). Domina in questo caso l’incognita dei Cinque Stelle, che si sono esibiti nella “politica acrobatica” (si vede che l’edilizia ha fatto scuola …): prima una gran bagarre per far votare sotto Ferragosto sulla piattaforma Rousseau gli iscritti per un via libera ad accordi coi partiti tradizionali, poi accordi che non si sono fatti. Di Maio ha rinviato alle comunali del prossimo anno, ma tutti sanno che si deciderà dopo aver visto quanto pesa realmente il consenso ex grillino.

Perché in fondo di questo si tratta, ben più del tema di quanti governatori riferibili alla maggioranza governativa (ovvero ai dem, tranne la Liguria dove c’è un candidato para-grillino). Certo tutti gli schemi che corrono sui giornali per il confronto fra dem e destra (2 a 4, 3 a 3, 4 a 2) saranno buoni per l’immagine da far circolare e per favorire o meno le richieste di ribaltoni governativi da parte delle destre, o di rese dei conti dentro il PD, ma la domanda ineludibile sarà: quanto consenso sono ancora in grado di rastrellare i Cinque Stelle?

Si tenga conto che nelle elezioni comunali la presenza di loro liste è piuttosto limitata e questo non depone a favore di un partito che non rinuncia a considerarsi la chiave di volta del sistema. Viene ipotizzato che queste debolezze vengano mascherate da un deciso successo dei “sì” al referendum costituzionale, cosa che i Cinque Stelle presenterebbero senz’altro come una prova del grande consenso popolare alla loro politica anti casta. Ma sarà davvero così? Le obiezioni alla riforma e le perplessità sono in costante crescita e a queste la risposta pentastellata è solo il rilancio della retorica sul taglio delle poltrone. E’ vero che una parte cospicua del PD sta optando per schierarsi a favore del “sì”, con l’argomento, dubbio, che si tratterebbe comunque di un primo passo per una razionalizzazione del nostro sistema parlamentare, ma con la ragione ben più politica di non lasciare solo a M5S il merito di aver raccolto i voti per quello che si ipotizza come un largo consenso.

Se però il successo dei “sì” al referendum non fosse così travolgente, un po’ per ragioni di astensionismo (non  vediamo in giro molto entusiasmo per il tema), un po’ per una quota di “no” molto superiore al previsto, i Cinque Stelle si troverebbero ad essere quantomeno ridimensionati. E questo nel momento in cui una componente significativa del PD continua a premere sul mantra della alleanza strategica e strutturale con M5S, al massimo vagamente controbilanciata, secondo una proposta di Goffredo Bettini, da uno spazio altrettanto strutturale da dare ad una componente “liberal-riformista” da affidare in costruzione alle capacità politiche di Renzi.

Un ridimensionamento dei Cinque Stelle, più ancora che un successo del centrodestra alle regionali, cambierebbe il quadro della politica autunnale. Non crediamo nell’ottica di una fine della legislatura, impossibile da realizzare per l’impegno a tentare l’assalto ai fondi del Rceovery Plan, quanto piuttosto nella messa in discussione tanto degli attuali equilibri di governo quanto delle prospettive per la tornata di amministrative del 2021. Se ciò possa significare rimpasto o crisi e nuovo esecutivo con la stessa maggioranza (se anche con lo stesso premier sarà da vedere) dipenderà da tante circostanze, ma ci pare impossibile che in quel caso tutto resti come prima.

E non sarà così neppure nel caso in cui le urne di settembre mostrassero una buona tenuta di M5S, che a quel punto si riterrebbe fuori dalla crisi e penserebbe solo ad alzare la posta nei vari maneggi in cui è impegnato (cosa che i capi pentastellati hanno mostrato di saper fare benissimo). Questo non solo acuirebbe gli scontri interni ad M5S, perché fornirebbe argomenti a sostegno tanto della tesi dei “governisti” quanto di quella degli “alternativi”, ma comporterebbe una ricaduta di destabilizzazione anche sul governo perché renderebbe più difficile comporre le conflittualità per non dire le concorrenze interne alla attuale maggioranza con riflessi pesanti anche sulla posizione di Conte.