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27 marzo 2024
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Una BCE sempre più asimmetrica?

Gianpaolo Rossini - 15.01.2015
Mario Draghi

La BCE alza i requisiti patrimoniali delle banche. In soldoni gli istituti di credito devono accantonare più denaro e quindi sono costretti a prestarne di meno.  Insomma l’annunciato aumento della circolazione di moneta (quantitative easing) si fa precedere da una manovra che ha l’effetto di ridurre l’effetto di quanto promesso, ma ancora non attuato. Con una mano, prima si toglie e con l’altra, più tardi, si darà. La BCE non fa regali e, se li promette, esige in anticipo contropartite da chi li riceve.  Ma se non bastasse ci sono altre spinosità ancora più insidiose nella politica monetaria di questa banca centrale sempre più arcigna. La prima riguarda il merito (il rating) dei titoli sovrani da acquistare nella manovra di (forse) 500 miliardi annunciata da Draghi. Questo esclude in partenza titoli di Cipro e Grecia negando così la cura ricostituente a chi né ha più bisogno. Alla gente comune le regole (che però nessuno ha mai fatto valere in condizioni di emergenza come quelle di questi giorni) della politica monetaria sono inspiegabilmente crudeli e aggiungono antipatia e distacco verso l’Europa e le sue acide vestali. In occasioni analoghe la FED americana non ha mai valutato il merito di ciò che acquistava perché guidata solo dalla necessità e dalle difficoltà di chi ha emesso titoli. Del rating la FED non si è mai curata muovendosi all’opposto di quello che fa la BCE. In secondo luogo c’è la questione del periodo di tempo  sul quale l’intervento è spalmato. Se si tratta di un tempo non superiore all’anno l’intervento della BCE può avere una pur minima utilità. L’ammontare messo in campo è però abbastanza basso. Se invece è spalmato su un periodo più lungo sarà come acqua che scivola sul marmo senza lasciare traccia.  Resta un ultimo aspetto adombrato della manovra della BCE che è realmente avvelenato. Sembra farsi strada l’intenzione di far cadere il rischio dei titoli comprati con la manovra dalla BCE sulle rispettive banche centrali nazionali. Il che sorprende davvero perché è una novità che non è scritta in nessun trattato fondativo del sistema euro. Purtroppo induce a pensare che si cerchi di iniziare un lento processo di  defederalizzazione della politica monetaria che può portare alla fine solo al dissolvimento per manifesta inutilità della unione monetaria. Alla nascita dell’euro pensavamo che le banche centrali nazionali fossero destinate a graduale disarmo e ci venivano sbandierati notevoli risparmi per i cittadini visto che le competenze delle banche centrali nazionali erano destinate a diventare quasi nulle o di riduzione a semplice sportello nazionale della BCE. Ora, purtroppo, i paesi sani, con bassi tassi d’interesse, si pappano buona parte degli alti tassi d’interesse che la BCE riceve sui bond dei paesi malati, perché questi rendimenti, attraverso il signoraggio, vengono distribuiti non ai paesi che hanno emesso i bond ma a tutti i membri della BCE a seconda della loro dimensione. Il rischio a fronte del quale gli alti tassi sono pagati se lo accollerebbero, con la nuova ipotesi adombrata, i paesi emittenti. Si tratterebbe di una trovata aberrante che non ha corrispettivo in alcuna regola della finanza, anzi è contraria al senso comune che dice che il premio per il rischio lo si paga a chi se lo accolla non a chi lo trasferisce. Insomma qualcosa che si avvicina ad una vera e propria truffa non diversa dalle tante che abbiamo visto in questi anni. In più questo minerebbe il ruolo di banca federale della BCE che riduce il ruolo di prestatore di ultima istanza al lumicino trasferendolo alle banche centrali nazionali che erano destinate al disarmo. Speriamo proprio che ciò non avvenga perché diversamente si inaugurerebbe nell’unione monetaria la strada verso asimmetrie e discriminazioni inaccettabili oltre le quali c’è solo il lento dissolvimento dell’euro.