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24 aprile 2024
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Un patto generativo tra Stato e autonomie

Ugo Rossi * - 19.05.2015
Province autonome

Una fattiva ripresa della capacità di sviluppo del Paese Italia, non può prescindere da un costruttivo e corresponsabile rapporto tra Stato centrale e Istituzioni locali. Un rapporto che deve lasciarsi alle spalle esperienze e assetti del tutto superati, per dar vita ad un patto nuovo che rimetta in gioco, positivamente e proficuamente, i ruoli e le funzioni di entrambi gli attori in gioco. Il governo centrale, che rappresenta la collettività nazionale, dovrà ripensare il suo ruolo tenendo conto non solo dei mutati rapporti con lo “spazio” europeo, anche in termini di cessione di sovranità. Una uguale mutazione deve essere compiuta nei confronti della dimensione locale, le Regioni in particolare, riconoscendone la reale funzione e importanza. E ciò a partire dalla loro piena autonomia nella gestione delle risorse, come dalla piena responsabilità rispetto ai risultati conseguiti, o non conseguiti.

Per valutare questi risultati è  innanzitutto necessario far riferimento alla qualità dei servizi realizzati, insomma alla qualità del governo locale nel suo insieme. E su questo saranno gli elettori a esprimere il proprio il giudizio secondo i principi democratici e i risultati elettorali. In secondo luogo dovrà essere valutata la congruità della spesa rispetto alla ricchezza prodotta. Il principio è che se il governo locale, grazie alle sue buone performance, riuscirà a ottenere un gettito fiscale più elevato, derivante dalle attività economiche del suo territorio, avrà naturalmente più risorse da spendere per la comunità locale. Se invece la sua capacità di raccogliere entrate, rispetto a quelle programmate, sarà inferiore, o le sue spese saranno superiori, insomma se si creerà un deficit, questo dovrà essere coperto all’interno del territorio, salvo i casi eccezionali di vicende catastrofiche e imprevedibili. È questo il punto centrale dell’assunzione della responsabilità locale. I patti tra lo Stato nazionale e le Regioni saranno ognuno diverso dall’altro, perché ci sarà una situazione in cui il governo locale preferirà non gestire una certa funzione, o temporaneamente, per avere il tempo di attrezzarsi, o per qualunque diverso motivo, e perciò ne lascerà la responsabilità allo Stato nazionale.  Altri governi locali preferiranno un’autonomia integrale o la maggiore possibile, naturalmente prendendosi il rischio della gestione, e così potranno contare su un maggior numero di deleghe e risorse corrispondenti.

Qui l’idea nuova è la cultura del rischio da incorporare nelle qualità di governo. Al livello nazionale questa cultura dovrebbe già esistere: ogni governo si trova ad arbitrare tra le risorse disponibili e le spese, tra le situazioni congiunturali positive e quelle negative e dal tutto deve cercare il modo migliore di servire il Paese.

Un approccio analogo va applicato anche sul piano locale. Non è possibile affermare l’autonomia della spesa senza avere responsabilità sulla produzione e sulla raccolta delle entrate.

Per mettere a regime un nuovo modello di rapporti tra Stato e comunità locali è quindi essenziale che si realizzino due condizioni. La prima riguarda la qualità della classe dirigente, intesa come bene principale su cui aprire ogni possibile orizzonte di crescita reale dei molti territori che fanno ricco il Paese. Una classe dirigente – è necessario insistere su questo punto – che deve avere come unico riferimento il merito, e non gli automatismi, i clientelismi, le irresponsabilità che troppe volte hanno segnato negativamente il funzionamento delle istituzioni pubbliche. Il merito va riconosciuto e valorizzato.

La seconda condizione è conseguenza diretta del salto di qualità nella classe dirigente. Un salto di qualità che dia spazio e prospettive a un modello di autonomia che funzioni sulla base di un patto di tipo nuovo tra lo Stato nazionale e le varie Regioni, sia pure riformate nei loro modi d’essere, che non sia basato su un’articolazione istituzionale e funzionale rigida e indifferenziata, ma che tenga conto delle reali capacità e volontà di autogoverno.

Per far questo, abbiamo bisogno non solo di un’etica dei comportamenti, ma anche di un’etica dei meccanismi. Se nel primo caso ne va della qualità e consistenza delle classi dirigenti, nel secondo ne va della qualità e della consistenza delle regole del gioco.

E si sa che queste ultime hanno una forza enorme, proprio perché impersonali, oggettive, e perché agiscono per inerzia. La soluzione sta nella confluenza dei due flussi verso l’unico obiettivo di un governo locale più efficiente. Per altro, i due flussi si alimentano reciprocamente: è una classe dirigente limpida e adeguata che può attuare  meccanismi limpidi e adeguati; allo stesso modo, meccanismi limpidi e adeguati agiscono positivamente sulla qualità della classe dirigente.

 

 

 

 

* Presidente Provincia Autonoma di Trento