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18 marzo 2023
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Conflitto e armonia: il mondo visto da Pechino

Guido Samarani * - 19.05.2015
Samarani - La Cina di Mao

Nel momento in cui vengono sollevate da recenti pubblicazioni nuove riflessioni sul fatto se il mondo, alla fin fine, non era meglio (o meno peggio) durante la Guerra fredda, appare utile ricordare che per diverse aree del mondo, a cominciare dall’Asia, in realtà quei decenni furono molto “caldi” e poco “freddi”, segnati da guerre sanguinose in Corea, Vietnam, cambogia, Afghanistan (per citare solo alcuni esempi).

Per la Cina la Guerra fredda rappresentò un periodo di forte isolamento (diplomatico ma anche economico-commerciale, con l’embargo) verso molta parte del mondo: un isolamento che divenne di fatto marginalizzazione dopo la rottura con l’Urss ed il mondo socialista e che fu interrotto solo, nei primi anni Settanta, con la ripresa del dialogo con gli Stati Uniti e successivamente, alla fine degli anni Ottanta, con la visita di Gorbachev a Pechino.

La fine dell’Urss e il riconoscimento da parte cinese dell’esistenza di un’unica ‘superpotenza’ (gli Usa) nella nuova realtà globale hanno  introdotto negli ultimi anni significative modifiche ed innovazioni nella visione del mondo di Pechino, intrecciandosi con gli obiettivi e le priorità interne (stabilità ed unità, crescita, sicurezza nazionale, sovranità territoriale, ecc.).

I documenti disponibili, i discorsi e le interviste di Xi Jinping e dei maggiori attori della politica estera (innanzitutto il leading small group per gli affari esteri, guidato dallo stesso Xi; e il Ministro degli Esteri, Wang Yi, il Consigliere di stato, Yang Jiechi , Ministro degli esteri sino al 2013, oltre al Premier Li Keqiang) indicano che Pechino, pur essendo ferma nella denuncia dei pericoli per la stabilità e la pace mondiale rappresentati dall’’egemonismo’ (Washington) e dal ‘neo-interventismo’ (approcci aggressivi da parte statunitense ed occidentale alle crisi in africa e in medio oriente), nonché dagli effetti dirompenti della crisi economica e finanziaria, punta decisamente le proprie carte sulla costruzione di un mondo che segni il passaggio dal conflitto all’armonia. In tal senso, l’’armonia internazionale’ rappresenta per certi aspetti l’estensione di quella ‘armonia interna’ che è stata posta alla base della strategia cinese, con l’obiettivo di realizzare il ‘sogno cinese’ di edificare nei prossimi decenni un paese socialista, moderno, prospero ed armonioso.

In campo internazionale, l’’armonia’ può essere costruita enfatizzando l’importanza del multipolarismo e di una globalizzazione condivisa. Il mondo a cui si guarda è quello in cui forze diverse si integrino e si bilancino al fine di rafforzare la cooperazione globale e ridurre lo spazio per tensioni e conflitti interstatali. In quest’ambito un ruolo centrale è affidato ai Paesi in via di sviluppo (Pvs), di cui la Cina rivendica l’appartenenza: in questa fase storica – si afferma - i Pvs rappresentano oggettivamente il nucleo di quelle forze positive che rafforzano la tendenza ad una sempre più ampia distribuzione del potere in sede internazionale e  limitano l’azione delle forze negative.

Un significativo ed emblematico sviluppo di tale approccio è rappresentato dalla definizione del concetto di ‘diplomazia periferica’ (o delle ‘aree periferiche’), riferita alla complessa ed articolata realtà dei rapporti tra la Cina ed i paesi confinanti ed in particolare alle relazioni con la Russia e i paesi dell’Asia centrale. In seguito alla fine dell’Urss, l’interesse della Cina finalizzato a sviluppare le relazioni con la Russia e i 5 stati dell’Asia centrale (Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) è andato espandendosi. Tale interesse fu dovuto dapprima all’esigenza di affrontare e risolvere gli storici problemi delle dispute territoriali e di frontiera; in seguito, tuttavia, la strategia di Pechino si è arricchita di nuove motivazioni ed obiettivi, legati sia al rafforzamento delle ambizioni in ambito regionale e globale, sia all’esigenza di garantire una solida protezione ai propri interessi economici e di sicurezza nell’area, garantendone le prospettive di sviluppo. Il continente eurasiatico appare infatti centrale nella nuova visione cinese in quanto è vista come una delle aree del mondo più promettenti in termini di consumi ed investimenti.

Uno dei dilemmi che stanno di fronte oggi e nel prossimo futuro alla Cina è rappresentato dall’esigenza di trovare uno stabile equilibrio – compito non impossibile ma certo difficile – tra, da una parte, il mantenimento di relazioni armoniose e il rispetto del principio della ‘non ingerenza’ negli affari altrui e, dall’altra, le crescenti responsabilità in quanto potenza sempre più influente e globale. Nel caso dei rapporti con la Russia e l’Asia Centrale, i temi della sicurezza e dello sviluppo sono centrali e fortemente intrecciati. Infatti, Pechino sottolinea come il sottosviluppo rappresenta uno dei fattori che genera instabilità ed è portatore di conflitti: in tal senso, le persistenti tensioni nella vasta ed articolata area dell’Asia centrale e nella regione autonoma del Xinjiang appaiono oggi e negli anni a venire uno dei più importanti laboratori in cui sperimentare la ricetta cinese secondo cui investire nello sviluppo offre una forte garanzia ai fini della promozione della sicurezza” e lo sviluppo economico ha il potere di attenuare o anche eliminare tensioni politiche ed etniche.

 La formulazione del concetto di ‘diplomazia periferica’ è oggetto di numerose ed anche controverse analisi, in Cina e all’estero. Secondo alcuni, esso rappresenta uno sviluppo importante ma nel segno della continuità, pur aggiornata, della visione cinese del mondo. A parere di altri, invece, essa sarebbe invece il segno di una vera e propria svolta strategica: il passaggio ad una strategia imperniata su “tre punti, un cerchio e quattro bandiere” (tre punti, ossia le tre relazioni diplomatiche chiave: con la Russia, gli Usa e il Giappone; un cerchio, ossia la periferia ed in particolare l’Asia sud-orientale, verso cui attuare uno ‘sfondamento diplomatico’; le quattro bandiere, ossia pace, sviluppo, cooperazione e risultati win-win, ossia in cui tutti hanno da guadagnare).

Di fatto, secondo gli assertori del significato strategico di tale svolta, essa contempla e contemplerà sempre più un’azione di ‘guida’ da parte di Pechino verso gli altri paesi affinché agiscano in direzione favorevole alla Cina e allo stesso tempo il rafforzamento della ‘pressione’ verso quei paesi che operano per contrastare gli interessi cinesi e creare alla Cina nuove e crescenti difficoltà.

 

 

 

 

* Professore Ordinario di storia della Cina all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia