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Un momento politico serio

Paolo Pombeni - 22.03.2023
Guerra Ucraina

A seguire i dibattiti sui media non sembrerebbe che si stia vivendo un momento politico molto delicato. Non perché in quelle sedi manchino drammatizzazioni e denunce di fatti che, ci viene detto, richiederebbero decisioni supreme, ma perché ciò di cui si discute non rappresenta la delicatezza di questa fase.

Intendiamoci: ci sono senz’altro fenomeni allarmanti che richiedono una seria presa in carico come è per esempio la questione ambientale, ma si tratta di emergenze la cui soluzione richiede tempi lunghi e un lavoro per passi successivi (insieme ad un contesto più ampio). Ci sono invece fatti che incombono e su cui sarebbe necessario lavorare per la costruzione di una consapevolezza largamente condivisa perché vanno accelerati gli interventi per fronteggiarli.

Il più rilevante al momento è l’incancrenirsi della situazione in Ucraina. C’è infatti una guerra in Europa che si è trasformata in uno scontro imperiale per il ridisegno degli equilibri mondiali. La Russia di Putin non riuscendo a portare a compimento in tempi brevi un atto di espansionismo vecchia maniera ha trasformato questa sua avventura scellerata in una prova generale per la sconfitta del ruolo egemone degli USA. Lo sta facendo spingendo la Cina a sostenerla proprio in virtù di questa trasformazione del conflitto da questione che riguardava la pretesa di ricostruire il tradizionale impero zarista e sovietico in una prova di forza della potenza “asiatica” che punta a ridimensionare la potenza euro-atlantica.

Si tratta di un conflitto che non prevede negoziati di pace, per la semplice ragione che alla base di quelli ci vuole che ci sia un vinto e un vincitore, altrimenti l’obiettivo che abbiamo appena descritto non sarebbe raggiunto. Ed è specularmente la ragione per cui la potenza euro-atlantica non può concedere una vittoria agli “asiatici” il cui prezzo sarebbe il suo ridimensionamento (che fra il resto non si fermerebbe all’episodio oggi in questione).

Il fatto preoccupante è che questo confronto non è limitato, anzi lo sarà sempre meno, al solo versante militare. Come sempre accade in questi grandi scontri storici il conflitto si estenderà all’ambiente dell’economia, a quello sociale, agli equilibri delle varie aree geografiche del mondo. Qualche segnale è già visibile, ma temiamo che la situazione andrà peggiorando.

Ora c’è da riflettere su come si colloca l’Italia in questo scenario. Le molte debolezze accumulate nell’ultimo cinquantennio presenteranno il loro conto. La situazione della nostra finanza pubblica come tutti sanno non è brillante. La tenuta della nostra coesione sociale sta mostrando segni di cedimento con un espandersi dei poteri di condizionamento e talora di vero e proprio ricatto di molte corporazioni, poteri che non si riescono a contenere. Il nostro sistema di welfare per quel che riguarda alcuni comparti essenziali è in uno stato piuttosto malmesso: la pandemia ha mostrato per esempio debolezze pesanti nel servizio sanitario, a cominciare da un vertice ministeriale che ha rivelato inefficienze varie come ha mostrato l’inchiesta della procura di Bergamo. La capacità di intervento del nostro sistema burocratico può essere rappresentata eufemisticamente come a macchie di leopardo, perché ci sono “isole” che funzionano, ma nel complesso è debole come sta mostrando la gestione del PNRR.

In questo contesto sembra che siamo incapaci di uno scatto di reni che faccia concentrare il paese sulla gestione delle sue debolezze e sull’avvio del loro superamento, perché invece la politica vuole che ci si concentri su scontri pseudo-ideologici che servono a ben poco anche quando a chiacchiere denunciano problemi reali. Ciò determina un indebolimento del nostro paese nel contesto internazionale, innanzitutto in quello europeo.

Si dimentica che essendo molti dei nostri partner in condizioni non proprio brillanti, ovviamente chi più chi meno, la loro disponibilità a concederci una priorità di trattamento è piuttosto limitata e spesso inesistente. La situazione preoccupante è percepita dovunque: negli USA come in tutti i paesi europei, sicché in ciascuno ci sono all’opera polarizzazioni, lotte più o meno intestine, tentativi di chiusura quanto a solidarietà. Lo si può vedere facilmente da qualche esempio clamoroso: le intemerate di Trump che chiama allo scontro civile negli USA, le tensioni in Francia sul problema della riforma pensionistica. Anche dove le tensioni non sono così facilmente percepibili, un esame ravvicinato le mostra facilmente.

Come si può pensare che l’Italia riesca a navigare bene in mari così tempestosi se, per restare nella metafora, ha una ciurma impegnata in litigi continui? Naturalmente nulla è più lontano da noi della sciocchezza del motto, non a caso in auge durante il fascismo, “non disturbate il conducente”. Non si tratta di promuovere il via libera a tutto quel che vuol fare il governo di turno (in democrazia il governo è sempre “di turno”), si tratta di rimettere in piedi una dialettica costruttiva che in questo momento latita.

Bisogna che l’opinione pubblica insista che le forze politiche devono mettere mano al riordino del sistema, riformando quel che c’è da riformare, riordinando quel che è finito nel disordine, facendo pulizia di privilegi e zone franche occupati approfittando degli anni della nostra crisi. È tutt’altro che facile perché la nostra classe dirigente (di ogni colore) si è formata, fatte le debite eccezioni che non mancano, nel caos degli anni del “non governo” (per riprendere una fortunata definizione dello storico Piero Craveri).

Solo con questa seconda Ricostruzione potremo, come avvenne con la prima nel post 1945, recuperare la nostra posizione internazionale. Sapendo che allora c’era più tempo per raggiungere lo scopo perché la situazione era stata più o meno stabilizzata, mentre nelle presenti condizioni di instabilità diffusa il tempo a disposizione è maledettamente limitato.