Un momento convulso

Il mondo politico non sembra percepire le preoccupazioni che percorrono molti ambienti delle classi dirigenti, si dice anche del Quirinale (ovviamente da quel palazzo filtra ben poco, ma alcuni segnali sono trapelati). Non è chiaro quanto l’opinione pubblica registri questo stato di cose: una certa ansia serpeggia (e i partiti da punti di vista diversi la cavalcano), ma anche una specie di estraneazione come davanti ad una fatalità che si vuole rimuovere.
Certamente il quadro internazionale non è tranquillizzante. L’esordio della amministrazione Trump mostra un presidente scatenato che sembra illuso di essere il padrone regolatore del mondo, o che quanto meno ha scelto di recitare quella parte per imporsi sulla scena. Già l’opzione per una politica dei dazi che è più che aggressiva deve necessariamente preoccupare: se davvero proseguirà su quella strada oltre un qualche momento simbolico, l’equilibrio già in crisi dei mercati internazionali sarà gravemente compromesso con conseguenze che si rifletteranno sulle società. Ma si è già visto che ha fatto presto qualche marcia indietro. Ancor più sconvolgente la pretesa di essere il regolatore dei conflitti in corso ponendosi al di sopra delle parti e dettando soluzioni piuttosto cervellotiche. Così è per la crisi mediorientale con la proposta di spostare gli abitanti di Gaza fuori dal loro territorio per il periodo della ricostruzione e addirittura di inglobare la Cisgiordania, attualmente sotto un evanescente governo dell’ANP e una occupazione israeliana, al regno di Giordania (per la verità quest’ultima proposta è stata ventilata e poi lasciata cadere).
Altrettanto per la situazione dell’Ucraina, che Trump pretende di regolare direttamente con un accordo con Putin saltando Kiev. Anche qui la soluzione proposta è di fatto un modo per salvare la faccia allo zar russo, che otterrebbe territori, ma soprattutto la rimozione di Zelensky, ma soprattutto per salvare la faccia del presidente USA che così potrà vantarsi di aver messo fine alla guerra come aveva promesso. Non è difficile concludere che sia per il Medioriente che per la questione ucraina, la politica di Trump produrrà solo un pasticcio destinato a durare poco.
L’allarme per le conseguenze che può scatenare questo modo piuttosto insensato di fare politica estera, sia sul piano commerciale che su quello politico, porta l’Europa a cercare di trovare una compattezza che negli ultimi anni è diventata problematica. La discussione ormai ufficializzata su una politica di difesa comune segnala una fase nuova in quell’istituzione che era partita come costruzione di un “mercato comune” (originariamente del carbone e dell’acciaio), per poi arrivare ad una moneta comune almeno ad una parte dei suoi membri, a far naufragare il tentativo di una “costituzione europea”, ma ora ad essere costretta a porsi il problema di diventare in qualche modo una “potenza” anche sul piano militare.
Questa evoluzione sfida l’Italia che si trova ad essere parte del processo avviato. Tutti sono convinti che una delle politiche che Trump vorrebbe perseguire è smembrare la UE, attivando contatti bilaterali coi suoi membri (almeno con quelli più influenti) tenendoli sotto ricatto per via dei dazi. La sua richiesta di aumento delle spese militari dei paesi europei li vede come membri della Nato, ma sempre mantenendo le diverse forze armate nazionali, mentre il tentativo della UE, che ha deciso di coinvolgere anche la Gran Bretagna, è quello di avviare un qualche tipo di forza comune coordinata (di un vero esercito europeo sembra prematuro parlare).
In un contesto del genere avere il nostro paese sottoposto alla condizione di una guerriglia politica costante e generalizzata è molto preoccupante: indebolisce la nostra azione a livello internazionale perché ogni interlocutore, amico o avversario che sia, ritiene di potersi infilare nelle diatribe in corso e di poterle sfruttare per i suoi fini. Eppure i partiti politici, di governo come di opposizione, e le varie corporazioni, in questo momento con la magistratura in testa, sono del tutto presi dalle contrapposizioni reciproche e sembrano ragionare solo nell’ottica di far prevalere le rispettive ragioni di parte.
Il fatto è che un paese stretto nella morsa di questi scontri continui, alimentati da un circuito mediatico sempre più ingabbiato nella costruzione di contrapposizioni partigiane, farà fatica a sfruttare le opportunità che pure potrebbe avere per una relativa stabilità di governo e per una situazione economica che è ancora in grado di presentarsi nel complesso come positiva. Certo va tenuto presente che si tratta di situazioni meno sicure di come potrebbero essere. La stabilità politica non si sa quanto potrà reggere se si continua nella ricerca della lotta continua, se non si valutano i contraccolpi che questa può avere sul sentimento dell’opinione pubblica, visto che ogni tanto si torna a parlare della possibilità di un ricorso anticipato alla prova elettorale e che comunque fra un poco avremo da misurarci con alcune prove referendarie.
Quanto alla situazione economica regge per gli effetti del PNRR, ma i settori in sofferenza non sono pochi né marginali, la tenuta dei consumi è costantemente a rischio se sopraggiungeranno gli effetti della politica americana dei dazi (peseranno nel complesso, anche, ipotesi improbabile, l’Italia ne fosse risparmiata), e i problemi strutturali connessi all’impoverimento del ceto medio pesano sempre più soprattutto in presenza di una inflazione che sembra rialzare la testa.
Le speranze di un disarmo generale delle fazioni politiche e corporative sono ridotte al lumicino, anche perché ognuno ha paura di sbagliare facendo il primo passo in quella direzione e mettendosi così alla mercé dell’avversario. Noi ostinatamente continuiamo a credere che la buona battaglia da fare sia quella contro queste guerriglie insensate, ma la si può combattere solo astenendosi dal prendere partito per le fazioni in campo.