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17 aprile 2024
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Un groviglio da sbrogliare

Paolo Pombeni - 04.12.2014
Alessandro Magno taglia il nodo gordiano

La nostra situazione politica si va ingarbugliando e ciò comincia a diventare pericoloso. Il problema non è dato solo dal sovrapporsi e intrecciarsi di scelte complicate che stimolano gli “animal spirits” della classe politica (legge elettorale, riforma del Senato ed elezione futura del successore di Napolitano), ma dal fatto che lo stillicidio di scandali e di situazioni di tensione sociale apre continuamente nuovi spazi alle forze che cercano rivincite sugli attuali equilibri (precari) di potere.

Vicende come quelle della cosiddetta “mafia romana” confermano l’opinione pubblica nella convinzione che ormai la corruzione politica è incontrollabile. Quel caso oltre tutto sembra fatto apposta per certificare che neppure l’alternanza al governo è in grado di spezzare le incrostazioni di potere che stanno dietro l’intreccio perverso di politica e amministrazione. Aggiungiamoci che va anche a sostegno della tesi che il grande sperpero sta negli enti locali, il che è molto a vantaggio della deriva neocentralistica che è tornata a fare danni, come se lo stato fosse immune da quei virus (vedere la vicenda grandi appalti e protezione civile per credere …).

La politica esce male da queste vicende perché non sa come reagire. I partiti anziché prendere in mano le situazioni di corruzione grande e piccola che vengono a galla mettendo al lavoro inchieste interne e prendendo le decisioni del caso (espulsioni, sanzioni a chi ha selezionato un personale così scadente, ecc.) si trincerano dietro al mantra della “fiducia nell’operato della magistratura”. Così facendo danno l’impressione che se facessero le inchieste interne scoperchierebbero chissà quali pentole, perché gli indagati avrebbero modo di denunciare tanti altri per difendere loro stessi.

E’ in queste condizioni che si affronteranno sia i tre passaggi che abbiamo citato sopra, sia la prossima tornata di elezioni regionali in primavera. Ora non solo Salvini e la Lega, ma Berlusconi in prima persona sembra deciso a tornare in campo ed a cavalcare questi disagi della gente, per di più ancora attanagliata da una crisi economica che non accenna a spegnersi.

Renzi sembra consapevole della difficoltà del passaggio visto che sta sempre più lavorando per trovare degli accordi con la minoranza interna più compatta ed importante, cioè quella bersaniana. L’ex segretario è ormai riconosciuto esplicitamente come il punto di riferimento dialettico, mentre Cuperlo svanisce sullo sfondo e i vari Civati, Fassina, Bindi non vanno oltre il ruolo di fastidiose zanzare. Il ragionamento è che un PD sostanzialmente compatto, considerati i numeri alla Camera e in Senato e tenuto conto delle regioni che controlla, ha quella che si definisce la “golden share” per l’elezione del successore di Napolitano, sicché alla fine calamiterà i voti di quelli che capiscono che non si può bloccare un paese all’infinito.

Il problema è che la compattezza del PD non è ancora garantita, perché ha dei prezzi che non sono stati ancora completamente dichiarati e che non si capisce se Renzi possa pagare senza ridimensionare la sua leadership. Ovviamente gli avversari sono perfettamente al corrente di questa situazione e lavorano per renderla sempre più complicata. In questa operazione possono senz’altro contare sulla sponda di una opinione pubblica che in una quota sostanziosa è più che disponibile a delegittimare tutto e tutti (dunque attenti a pensare che Grillo sia finito …).

Per di più presso questa opinione pubblica i temi “politici” della riforma della legge elettorale e del Senato col titolo V non sono particolarmente popolari. La gente capisce poco le varie tecnicalità che si portano dietro e al massimo è disponibile per slogan di maniera, tipo che le preferenze danno modo all’elettore di scegliere direttamente, o che il senato elettivo è un organo che allarga la rappresentanza e il controllo. La conseguenza è che sono riforme che si devono fare presto, ma senza che la discussione diventi oggetto di campagna elettorale (da noi è permanente e dunque non occorre per farla che ci sia la prospettiva di andare alle urne).

Il vero tema sul quale si potrebbe avere una mobilitazione e forse, ben gestito, una nobilitazione della politica è la scelta del nuovo presidente della repubblica. Però questa è materia che non è possibile discutere in pubblico. Innanzitutto per un ovvio rispetto verso Napolitano che non “scade”, ma che deciderà lui quando vuole ritirarsi, anche se tutti sanno che lo farà fra non molto. In secondo luogo perché nessuno ha l’autorevolezza per andare oltre la commedia delle maschere. Parlare seriamente di candidati significa bruciarli anzitempo, visto che la votazione per eleggerli non si avrà a breve, e poi, di nuovo, si tratterebbe di affiancare prematuramente un presidente in carica con un presidente in pectore, il che non sarebbe davvero elegante.

Così la vicenda della successione a Napolitano si trasforma da una occasione per cercare di dare almeno un “timoniere” alla nave in tempesta, in una opportunità per molti di intorbidare le acque, perché la vogliono sfruttare per regolare vecchi conti politici e per aprire nuovi scenari di equilibri mutati.

Così il groviglio non si dipana, ma rischia di diventare inestricabile e di invogliare a scioglierlo con la famosa spada di Gordio. Siccome non sappiamo chi potrebbe averla in mano, la cosa ci preoccupa non poco.