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Turchia: la trappola siriana

Gianpaolo Rossini - 19.10.2019
Rojava

È un gioco rischioso quello iniziato dall’amministrazione Trump e dal presidente turco Erdogan. Gli Usa hanno abbandonato la zona di etnia curda nel nord della Siria, prima presidiata in funzione anti Isis e anti Assad. A seguito di questo il governo turco, con una mossa peraltro attesa dagli Usa, ha invaso militarmente parte della regione suscitando reazioni diplomatiche in Europa, l’intervento della Russia, della Siria di Assad. Gli Usa dopo minacce di sanzioni economiche riescono a raggiungere un accordo per una breve tregua sul campo che ferma la Turchia.

Ma quale sono gli obiettivi di Usa, Turchia e Russia?

Non è facile capire un presidente che ha confessato pubblicamente di avere continui ripensamenti (second thoughts) sulle decisioni prese. Al di là della confusione apparente lo scopo degli Usa sembra comunque duplice. Da una parte cerca di indebolire la Turchia logorandola e isolandola nella trappola siriana in cui si impantanerà spendendo ingenti energie senza ritorno economico e con enormi rischi politici.  Dall’altra si vuole rendere la vita più difficile al governo Assad ridimensionando definitivamente la Siria come entità territoriale e ponendola in traiettoria di scontro con la Turchia. Insomma una vera trappola per due che protrae l’instabilità e le sofferenze delle popolazioni dell’area. Quale sia l’obiettivo finale di Usa e alleati di questa dissimulata politica del divide et impera non è facile intuire. Finora i risultati più rilevanti sono il rafforzamento di gruppi terroristici internazionali come l’Isis e la crescente impopolarità degli Usa nell’area che ora tocca anche i curdi prima in sintonia con Washington. Ragionevoli obiettivi di lungo periodo non se ne vedono nell’amministrazione americana. In questo senso c’è una tragica continuità con le amministrazioni Bush e Obama.

Obiettivo della Turchia è l’annessione di una parte del territorio siriano e del popolo curdo.  In questa operazione la Turchia rischia di aprire un conflitto con la Siria di Assad sostenuta dalla Russia, la cui presenza sembra però preludere ad una spartizione della regione curda tra Assad ed Erdogan. In ogni caso anche se è questo l’obiettivo della Turchia il costo per raggiungerlo è molto alto. C’è un rischio di destabilizzazione interna visto che la Turchia ospita una ampia comunità curda oltre a quasi 4 milioni di siriani. E in più la Turchia finisce per apparire come il principale responsabile del dramma curdo, complice anche una stampa occidentale particolarmente ostile. La quale sembra fare di tutto per isolare il paese di Erdogan dipinto come una dittatura mentre è un sistema democratico seppure fragile e con problemi di stabilità.  La mossa turca incrina inoltre il legame politico ed economico con l’Europa e con la Nato stessa. La Turchia sta dunque cadendo in una trappola tesa dagli Usa che intendono fiaccare Erdogan, Assad nonché l’accordo tra Turchia ed Europa sui migranti siglato nel 2016.  

Quale è l’obiettivo della Russia?

Certamente cerca un ruolo di peso nell’area e l’appoggio ad Assad ne è l’esempio primo. Non vuole che la Turchia espanda troppo la sua sfera di influenza e che il ritiro degli Usa provochi una deflagrazione che potrebbe arrivare a lambire anche zone Sud del paese di Putin. La difesa di Assad, purtroppo male interpretata in Europa, costituisce un argine al fondamentalismo contro il quale gli Usa e i suoi alleati continuano a mantenere un rapporto ambiguo visto il sostegno alla monarchia assoluta saudita sul cui suolo viene spostato parte del contingente Usa in Siria.

Obiettivi sensati e tra loro in conflitto? Quello americano purtroppo non tiene conto delle conseguenze tra le quali una accresciuta instabilità nel Medio Oriente e un indebolimento della Nato. Forse però gli Usa vogliono cogliere l’occasione per ricostruire un’alleanza su base europea con paesi che si impegnano più a fondo (Italia, Grecia, Inghilterra Francia?). L’obiettivo di Erdogan appare ancora più rischioso e inaccettabile anche se trova qualche giustificazione nella trappola tesa dagli Usa e nel peso che la Turchia sta sopportando da quasi otto anni per la guerra in Siria. Quello più realistico sembra quello di Putin che nei fatti cerca una stabilizzazione.  

E l’Europa che fa? Come un ricco signore paga la Turchia per fare il lavoro sporco dell’accoglienza dei rifugiati siriani senza curarsi delle conseguenze politiche in termini di stabilità della Turchia e di sofferenze per i migranti stessi. Avrebbe potuto offrire le proprie forze nell’ambito Nato per sostituire gli Usa in uscita nel Nord della Siria.  Sarebbe stata una mossa con un forte impatto stabilizzatore anche nei confronti della presenza russa e che avrebbe impedito di far cadere la Turchia nella trappola americana. Ma l’Europa non s’intende di queste cose. È fatta di paesi litigiosi inclini a proclami mediatici e alle prese con le follie tardo nazionaliste di una Gran Bretagna più sovranista dei vituperati paesi di Visegrad. L’Europa è sempre zoppa e ha perso l’ennesima occasione di salire nel suo ruolo internazionale che appare sempre più improbabile. Che resta da fare?  L’Ue deve almeno mantenere uno spazio di influenza e negoziale visto il grave problema dei migranti ospitati in Turchia evitando di isolare e consegnare Erdogan a più instabilità ed aggressività.   L’Europa deve attivarsi realmente per stabilizzare il Medio Oriente. Deve abbandonare i proclami mediatici o le fake news sui campi profughi turchi smettendo di litigare e persino far finta di nulla di fronte ad una guerra tra Italia, Francia e Gran Bretagna in Libia. Per ora stiamo andando in ordine sparso verso un embargo Ue sulle armi alla Turchia. Difficile dire quanto efficace, visto che le esportazioni militari non sono mai trasparenti neppure in tempi di pace. I danni maggiori in ogni caso sarebbero per i tre grandi produttori di armi Ue, Inghilterra, Francia e Germania. Ma c’è da stare certi che l’Inghilterra uscente a fine mese non si farà sfuggire l’occasione per riempire vuoti eventualmente lasciati da membri Ue. L’embargo è soprattutto una reazione mediatica un po’ ipocrita visto che la Turchia è nella Nato e con noi condivide tecniche e armamenti.

Se l’invasione in Siria non si arresta del tutto i rischi cresceranno per tutti. Ne soffrirà comunque l’economia europea per il forte grado di integrazione del nostro sistema produttivo con quello turco visto che molte imprese hanno basi produttive in Turchia o collaborano con imprese turche che sono parte di filiere italiane. Dobbiamo quindi evitare insensati embarghi commerciali o boicottaggi dei prodotti turchi in Europa perché sono armi a doppio taglio che danneggiano sia Europa che Turchia, allontanano soluzioni negoziali e isolando i paesi ne accrescono l’aggressività. Non dimentichiamo che gli scambi commerciali e l’integrazione economica sono ottimi calmanti delle tensioni politiche internazionali.