Ultimo Aggiornamento:
11 dicembre 2024
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Salto di qualità del giustizialismo politico

Maurizio Griffo * - 09.04.2016
Tempa Rossa in Basilicata

La vicenda delle dimissioni del ministro Federica Guidi, costretto a lasciare l’incarico per aver dato informazioni ritenute sensibili al compagno, sembra svolgersi secondo un copione già visto. Basti pensare alle dimissioni imposte al ministro Lupi circa un anno addietro. In entrambi i casi, infatti, le dimissioni sono state date senza che nelle intercettazioni, trapelate al momento giusto, fossero contenuti fatti penalmente rilevanti. Anche la tempistica con cui la trascrizione della telefonata è giunta agli onori della cronaca dà una sensazione di dejà-vu. Nell’imminenza del referendum sulle trivelle, di cui quasi nessuno si ricordava, lo scandalo (vero o presunto) che ha travolto la Guidi sembra sollevato per risvegliare interesse su di una scadenza elettorale che rischiava di andare deserta. Una giustizia ad orologeria, insomma, proprio come quella che Berlusconi ha denunciato per anni a suo carico. Attenzione, però, a rubricare quanto sta accadendo con un nulla di nuovo sotto il sole. Pur all’interno di un indubbia continuità di atteggiamenti e di metodi, gli elementi di novità ci sono e sono rilevanti.

Anzitutto il dejà-vu non è semplice ma duplice, si presenta cioè come una sommatoria inquietante di casi analoghi già verificatisi. L’inchiesta che ha coinvolto la Guidi, infatti, rischia di avere conseguenze non di poco conto non solo sul piano politico ma anche su quello economico. C’è il pericolo che possa bloccarsi, se non andare in fumo, lo sfruttamento del giacimento di Tempa Rossa in Basilicata che avrebbe consentito al nostro paese di ridurre la dipendenza energetica dall’estero. Una riduzione non di poco conto, poiché è stato calcolato che grazie a Tempa Rossa avremmo potuto coprire fino al 40% del nostro fabbisogno energetico, mentre ora siamo appena al 10%. L’inchiesta a orologeria, insomma, è una sorta di replica di quella di quattro anni addietro per l’Italsider di Taranto dove, incurante del provvedimento di risanamento ambientale promosso dal governo Monti, la magistratura ha bloccato la produzione del più grande impianto siderurgico italiano. Un pasticcio da cui non siamo ancora usciti, che ha ulteriormente acuito la lunga crisi economica che abbiamo attraversato. Adesso con l’inchiesta su Tempa Rossa si rischia non solo di accrescere la dipendenza energetica dall’estero dell’Italia, ma di rendere il nostro paese ancora meno appetibile per gli investitori stranieri e non solo per la compagnia impegnata in Basilicata, la francese Total.

C’è poi da considerare il quadro politico generale in cui si collocano questi avvenimenti. Dopo le elezioni politiche del 2013 si è giustamente sottolineata la crisi del bipolarismo che per un ventennio aveva caratterizzato il nostro sistema politico, rilevando che con il successo dei grillini si era in presenza di un assetto tripolare. Tuttavia tale considerazione non coglie la vera novità che l’affermazione pentastellata rappresenta. Questa si può definire un salto di qualità del giustizialismo, cioè di quella corrente di opinione che pensa di risolvere le difficoltà del sistema politico affidando tutto il potere alla magistratura. Prima del 2013 la rivendicazione giustizialista serpeggiava in segmenti di tutte le forze politiche ma aveva caratterizzato direttamente solo formazioni minori (La Rete, Italia dei valori). Ora invece un movimento capace di raccogliere un quarto dei consensi dell’elettorato sposava in pieno la causa giustizialista. Tale caratterizzazione, che all’inizio non risultava pienamente percepibile è parsa man mano più evidente. Il giustizialismo è, infatti, il logico e conseguente riscontro dell’insieme delle parole d’ordine e degli atteggiamenti dei pentastellati: odio contro la "casta", ecologismo nimby, democrazia streaming. Con una sinergia preoccupante il radicalismo giustizialista trova pieno appoggio in una parte consistente del mondo politico. Rispetto a questo situazione appare poco responsabile che il centro destra gongoli per le difficoltà del Pd. In questo modo non solo dimentica la propria tradizione garantista, ma glissa strumentalmente sul pericoloso squilibrio tra ordine giudiziario e poteri pubblici che denunciava quando era al governo.

 

 

 

 

* Insegna presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli