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Quale prova per il Quirinale

Paolo Pombeni - 29.01.2015
Elezioni Presidente 2015

Sembrava da qualche segnale che la partita del Quirinale potesse sdrammatizzarsi, ma rapidamente tutto torna a complicarsi. Renzi ricompatta il suo partito attorno al nome di Mattarella e per il momento tutti applaudono. Naturalmente per buona parte è un gioco tattico. Quando affermava che le elezioni del successore di Napolitano non potevano trasformarsi in un referendum sulla sua leadership, diceva qualcosa che tutti nel PD non potevano fare a meno di condividere: ed infatti tutti si sono affrettati a dire che certo è così, nessuno pensava di mischiare battaglia sulle riforme istituzionali col voto per il Colle. Poi cosa succederà è tutto da vedere, perché è chiaro che quelli che hanno anche solo un minimo di coscienza politica non possono certo dire pubblicamente che ambiscono ad azzoppare il proprio partito.
Quel che accadrà davvero non si riesce ancora a capire. C’è veramente un clima strano, perché tutti si trincerano dietro identikit del tutto astratti ed ideali (chi potrebbe essere contro un candidato che sia un politico sperimentato, ma capace di essere un saggio timoniere estraneo alle inclinazioni di favorire qualche partito?), ma nessuno osa puntare su un nome da sottoporre appieno al vaglio pubblico su quell’idealtipo. Adesso c’è Mattarella che è senz’altro un politico sperimentato, ma che come “grande timoniere” è tutto da sperimentare e come reputazione internazionale non è esattamente al top.
Renzi sembra preoccuparsi principalmente di non restare bruciato nel gioco parlamentare e dal suo punto di vista si può capirlo, però sottovaluta il fatto che il Presidente della Repubblica ha bisogno di una legittimazione popolare oltre che di quella formale dei voti dell’assemblea dei grandi elettori. Puntare sulle “narrazioni” costruite a tavolino, come si è lasciato intendere, non sappiamo se possa bastare.
Temiamo che questo sia un aspetto della prova che si è avviata a partire dal pomeriggio di ieri totalmente ignorato dalla nostra classe politica. Eppure basterebbe analizzare quel che è successo con la rielezione pasticciata di Napolitano: un presidente che nel suo primo settennato era stato molto amato dalla gente, ha perso di smalto nel secondo passaggio proprio per le circostanze in cui è stato costretto ad accettare la rielezione. Certamente la parte competente e riflessiva del paese ha apprezzato il suo sacrificio ed anche la sua capacità di impedire che la legislatura si disfacesse in pochi mesi (perché quel rischio c’era), ma la gran parte della gente non è stata in grado di percepire questa sottigliezza e le possibilità di attacco senza rischio alla figura del Capo dello Stato sono aumentate di molto (e sono state usate in maniera spregiudicata).
Un presidente che venisse eletto senza avere attenzione per la sua consacrazione pubblica si troverebbe almeno inizialmente in una posizione non facile. E’ vero che poi potrebbe guadagnarsi da solo col tempo quel riconoscimento che gli è mancato all’inizio, ma, anche a prescindere dal fatto che ciò richiede delle notevoli capacità in più nell’eletto, dovrebbe farlo in un clima politico rissoso che non crediamo si stempererà tanto presto.
In quest’ottica la scelta della scheda bianca nelle prime tre votazioni non è una buona trovata. Si capisce che nell’ottica dei meccanismi parlamentari serve (forse) per impedire il sorgere da subito di giochetti sporchi: con questo meccanismo i franchi tiratori sono più individuabili, almeno come area politica, e diventa più difficile la candidatura subdola che viene infiltrata nelle votazioni con accordi trasversali. Però la gente fa fatica a capire queste logiche e se poi non si riuscisse davvero ad imporre il candidato finale con maggioranza ragionevole alla quarta votazione si finirebbe per fare una figura meschina.
A complicare la situazione c’è la scelta di un nome secco su cui convergere,  reso noto al pubblico prima del previsto. Quel nome è dunque pubblico mentre si susseguiranno le schede bianche in un rito che apparirà alla gente incomprensibile e barocco. Rinviare l’ufficializzazione della candidatura di Mattarella alla quarta votazione è una scelta che rafforza solo l’idea di una elezione giocata in termini di puro tatticismo politico deteriore.
Ovviamente i politici ribatteranno che tanto la gente non si appassiona più a queste cose, ormai accetta tutto, non c’è da preoccuparsi. Ci permettiamo di dire che non è un bel modo di ragionare, ma solo una cecità che non coglie il vantaggio che simili comportamenti rischiano di dare ai Grillo, ai Salvini e a tutti quelli a cui piace sommamente fare la denuncia populista della decadenza della nostra politica.
Davvero in un momento delicato come questo sarebbe pericoloso avere un Presidente della Repubblica a bassa legittimazione davanti all’opinione pubblica perché gravato dal sospetto di essere una scelta che esce anziché da un atto di responsabilità verso il paese, da un intrecciarsi di contorte manovre dentro una classe politica interessata principalmente a regolare i conti al proprio interno.