Ultimo Aggiornamento:
19 aprile 2025
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Prigionieri delle turbolenze internazionali

Paolo Pombeni - 02.04.2025
Trump, Putin e Meloni

La nostra politica è letteralmente intrappolata dalle turbolenze della situazione internazionale, né poteva essere diversamente data la delicatezza del momento. Ciò che preoccupa sono le modalità con cui una parte non piccola della classe politica affronta le contingenze: sembra davvero che ci sia carenza, per usare un eufemismo, di cultura adeguata a confrontarsi con un cambio di scenario che non è comprensibile né con battute più o meno brillanti, né con una ideologia da assemblee studentesche di questi ultimi decenni.

Diamo due esempi che ci paiono illuminanti. Giorgia Meloni intervenendo al congresso del partito di Calenda ha accusato la Schlein di voler fare dell’Europa una comunità hippie disinteressata a difendersi. È una battuta che peraltro non rappresenta la realtà, perché la segretaria del PD propone la prospettiva di un esercito europeo anziché l’investimento nel riarmo dei singoli stati. Ora, una critica seria a questa proposta avrebbe dovuto puntare sulla impossibilità di realizzare questo piano in tempi ravvicinati, perché bisognerebbe, a parte superare molteplici resistenze interne, riformare i trattati, cosa macchinosa e di esito incerto visto che poi andrebbe sottoposta al voto dei singoli stati e probabilmente, almeno in alcuni casi, a referendum popolare. Avrebbe avuto senso chiedere se possiamo permetterci il vuoto di difesa che imporrebbe quel percorso istituzionale.

Incalzare da parte della premier l’opposizione sulla debolezza di quella proposta significava fare dialettica politica. Proporre caricature per eccitare un po’ di opinione pubblica è ricorrere a mezzucci demagogici.

Veniamo al secondo esempio, speculare. Un gruppetto di parlamentari del PD ha attaccato Pina Picierno, vicepresidente del parlamento europeo, perché nell’ambito delle sue competenze ha ricevuto una associazione israeliana di destra che aveva chiesto udienza (lei è titolare della questione dell’antisemitismo). Questi studentelli fuori corso del PD pensano che col “nemico” non si deve prendere nemmeno un caffè, che parlare con quelli che loro considerano reprobi sia alto tradimento degli ideali e avanti di questo passo. Giustamente vari osservatori hanno osservato che siamo tornati ai tempi degli anatemi di autoproclamati cani da guardia dell’ortodossia (una lunga tradizione a sinistra: emblematica la storia del “rinnegato Kautsky”, il quale, peraltro, qualche anno prima di essere oggetto di questa censura aveva scomunicato i socialisti francesi rei di sostenere un governo liberale progressista, ma borghese).

Potremmo malignamente osservare che almeno alcuni di questi firmatari sono sospetti di furore anti-riformista nella speranza di essere confermati nelle liste di candidati da Elly Schlein, ma nonostante chi scrive non sia mai stato tenero con la segretaria, non crede che lei sia conquistabile con questi mezzucci: sa bene che la battaglia richiede competenze più solide.

Il clima generale del Paese è indubbiamente sotto tensione. La preoccupazione, talora l’angoscia per la possibilità che sia giunta al termine la lunga fase di pace in cui abbiamo vissuto è molto diffusa: la cavalcano, da poli neppur veramente opposti, tanto Salvini quanto Conte. Negli ambienti politici c’è attesa per verificare cosa accadrà con la manifestazione indetta per il 5 aprile dai Cinque Stelle. Sebbene sia sempre azzardato interpretare le piazze, una partecipazione più o meno grande, l’eco che il sistema della comunicazione conferirà all’evento costituiranno motivo per speculare sullo stato di salute della demagogia populista (perché di questo si tratta, non di amore per la pace, che va costruita con fatica e non ridotta ad uno slogan da sbandierare).

È chiaro che tanto nella maggioranza di governo, quanto nell’opposizione conterà e non poco come viene interpretato il raduno pentastellato. Nella coalizione di destra-centro si tratterà di consolidare o meno la posizione di Salvini. Certamente si è indebolita l’illusione di Meloni e Tajani che la Lega barricadiera servisse per tenere legata al governo una quota di elettorato “arrabbiato”, senza però essere costretti a tener conto davvero delle demagogie del cosiddetto Capitano. In realtà lo “sfasciacarrozze” come l’ha giustamente battezzato il ministro degli esteri è una zeppa negli ingranaggi di un governo che deve gestire l’attuale turbolenza internazionale. Si vedrà se nel congresso nazionale del partito ormai alle porte, saranno percepibili prese di distanze verso la linea salviniana da quelle componenti che hanno maturato buone esperienze amministrative e di governo.

Ma anche nel fu campo largo la questione è bruciante. Se Conte si ringalluzzisce per un successo di piazza si tira dietro il duo Fratoianni-Bonelli e una parte del PD è molto tentato di unirsi. Significherebbe vedere molto compromessa la prospettiva del partito di Schlein di presentarsi come alternativa vincente all’attuale governo: per giungere a quel risultato occorre poter tenere dentro una buona quota degli elettori che per pigrizia vengono definiti di centro, ma che rappresentano uno spettro più ampio di opinioni responsabili, cosa assai problematica se la leadership, o anche solo una quota significativa di essa, dovesse andare al movimentismo populista. Si tenga conto che una parte di quell’elettorato è già finita nell’astensionismo.

La partita è aperta ed è incerta per entrambe le coalizioni. Molto dipenderà da come evolve davvero la situazione internazionale, cioè la folle sfida di poker fra Trump e Putin e da come in essa si inseriranno varie forze che scommettono sulla destabilizzazione del quadro: da chi lo fa con una sua razionalità, per quanto discutibile (la Cina), a chi specula sulle possibilità di avventure apocalittiche (Netanyahu).