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17 aprile 2024
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Nonostante il voto, i problemi del Pd restano

Luca Tentoni - 03.10.2020
Carlo Calenda

Nonostante il buon risultato delle regionali del 20 e 21 settembre (un pareggio: più un viatico che un trionfo) il centrosinistra ha ancora parecchi problemi e nodi da sciogliere. Il Nord gli è ostile: Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto sono state confermate al centrodestra, nel 2018-'20, così come sempre in passato (per i casi lombardo e veneto) o dal 2013-'15 (per gli altri due). Nelle quattro regioni, i candidati presidenti del centrosinistra hanno avuto il 28% contro il 56% di quelli di centrodestra (la metà esatta). Non solo: il vantaggio di leghisti e alleati al Nord su Pd e altri, alle europee e alle regionali, è di circa 20 punti e tende a restare largo (per non parlare del Veneto: 50 punti). Grazie alle vittorie in Emilia-Romagna e Toscana le sconfitte in Umbria e Marche sono state compensate (e il vantaggio dei candidati presidenti delle quattro regioni è stato del 2,8%); nel Lazio Zingaretti, nel 2018, si è imposto di misura, confermando che una certa competitività del centrosinistra resiste, con vistose smagliature, almeno nella parte centrale della Penisola. Ma al Sud, dove pure i candidati presidenti di centrosinistra hanno ottenuto, fra il 2018 e il 2020, il 50,9% dei voti contro il 33,7% di quelli del centrodestra, la realtà non è quella che appare: su sei regioni, il Pd ne governa solo due, le più grandi (Campania e Puglia) e soprattutto grazie alle prestazioni elettorali di De Luca ed Emiliano, che alle politiche non sono ripetibili. Infatti, se alle regionali, nel Mezzogiorno, il centrosinistra ha avuto nel periodo 2018-'20 il 50% dei voti di lista contro il 33% del centrodestra, alle europee è stato quest'ultimo a vincere 44 a 25 e alle politiche il primo partito è stato il M5s (oggi all'11,6%) allora al 46% contro il 30% del centrodestra e il 20% dei partiti del centrosinistra allargato. C'è, insomma, una questione meridionale per il Pd non meno grave di quella settentrionale, con la sola differenza che alle regionali ci sono leader e sufficiente fluidità elettorale per rendere il risultato più digeribile che al Nord. I buoni risultati nei capoluoghi di regione (dove il centrosinistra è sempre primo, dal 1995 e tranne il 2001, nel complesso delle quindici regioni a statuto ordinario) sono l'ulteriore dimostrazione che il Pd e i suoi alleati più o meno vicini e fedeli sono bloccati in alcune enclaves (i centri storici, le zone con più alta scolarità o con la più robusta tradizione rossa come Firenze e Bologna) dalle quali riescono ad uscire solo avvalendosi di fattori per ora eccezionali e irripetibili (il candidato presidente forte sul territorio, il richiamo al voto antifascista come in Toscana ed Emilia-Romagna, persino le Sardine in un'occasione) ma non ancora grazie ad un diffuso apprezzamento per la politica che il Pd porta avanti nel governo e nel Paese. È questo, forse, il punto debole del partito di Zingaretti, non risolvibile con la nascita di un improbabile Pd del Nord (quei tempi sono passati: forse è stata un'occasione perduta, forse no) o con la competizione per la conquista dell'elettorato restante di Forza Italia (che pare slittare verso Fratelli d'Italia) o del M5s (che va verso l'astensione e solo in parte e in casi peculiari si avvicina al centrosinistra, quando questo presenta liste civiche, e comunque sempre con apporti di voti marginali). Stretto fra un centrodestra che si riorganizza al Sud con nuovi partiti e leader trainanti e un universo pentastellato composto da elettori che vivono il rapporto col Pd in maniera talvolta molto più antagonista di quella della vecchia sinistra giustizialista e radicale degli anni 2006-2010 (Rifondazione, Idv), il centrosinistra non sembra avere spazi, così come non ne ha in un Nord dove la Lega (con le sue varie declinazioni, compresa quella postdc di Zaia in Veneto) è egemone e capace di presidiare i propri spazi con grande efficacia. La risposta del Pd ai suoi problemi può essere - e in parte è, un po' lo si vede già - politica e fattuale, ma la via è lunga e il declino rapido del periodo 2016-2018 ha spinto il partito in una situazione nella quale prima si deve recuperare la credibilità perduta e solo dopo tentare di allargare il campo dei consensi. La "riconquista del Sud" e un minimo segno di vitalità soprattutto nel Triveneto sono condizioni indispensabili perché il Pd torni davvero in partita, non solo alle regionali ma anche alle politiche.