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Mobilitiamoci per il referendum costituzionale

Luca Tentoni - 18.07.2020
Referendum costituzionale

Fra due mesi voteremo, nell'indifferenza di chi riceverà anche le schede per regionali e comunali e nella possibile abulia di chi sarà chiamato alle urne (negli altri centri) il 20-21 settembre solo per il referendum costituzionale, per decidere se ridurre o meno il numero dei parlamentari: alla Camera, i deputati sarebbero 400 (oggi 630); a Palazzo Madama, i senatori sarebbero 200 (oggi 315) più quelli a vita. Un periodico come Mentepolitica non può non sollecitare un dibattito su questo argomento: ci attendiamo contributi anche dai nostri lettori non abituati a scrivere su queste colonne. Poiché alcuni discutono e talvolta fanno propri degli spunti che trovano qui, è bene ribadire loro che le porte della nostra rivista sono sempre aperte e che nuovi contributi su un tema a nostro avviso cruciale sono non solo ben accetti, ma forse necessari (in fondo, ci leggete dal 2014...). Ci sono molte posizioni possibili che ognuno può scegliere di adottare su questo argomento, che - riguardando il Parlamento, cioè il cuore del nostro sistema istituzionale e luogo principe della democrazia - andrebbero fatti emergere nella varietà di sfumature che comportano. C'è chi pensa, come l'autore di questo articolo, che la qualità della rappresentanza debba essere il fine ultimo non della riforma, ma dell'agire politico: avere 600 oppure 930 rappresentanti del popolo non ha molto senso se la classe politica del Paese è di scarso livello. È come il numero chiuso in un concorso: in un caso, magari, si mettono in palio 930 posti ma ci sono almeno 1500 (come i lettori di Forcella, a suo tempo...) che hanno le caratteristiche culturali, di prestigio e autorevolezza per conseguire il diritto ad occupare quegli scranni; ma ci può essere, per contro, un concorso da 600 posti nel quale gli eccellenti sono cento, i passabili duecento, ma ben trecento quelli che in altre occasioni non sarebbero mai stati ripescati. Nel primo caso si perde l'occasione di avere 570 deputati e senatori che potrebbero dare un contributo prezioso, mentre nel secondo si imbarca il doppio di chi ha capacità, storia, esperienza per poter rappresentare degnamente e onorevolmente il popolo. Non siamo fra quelli i quali reputano che gli eletti debbano essere migliori dei rappresentati, ma sicuramente siamo dell'opinione che non debbano essere neanche peggiori e che la politica - fra promozioni di "fedelissimi" e una credibilità declinante che finisce per travolgere anche quella delle istituzioni rappresentative, con gran danno per la democrazia - non stia affatto incentivando le persone valide di buona volontà e di grandi capacità ad impegnarsi in Parlamento. C'è dunque da porre un punto preliminare, che forse potrà essere condiviso da molti del fronte del sì al "taglio" così come da molti del "no": la diminuzione o meno del numero dei deputati e dei senatori è una questione quantitativa, non qualitativa, se la politica non aggiunge dei comportamenti (sulla democrazia interna ai partiti, sull'apertura alla società civile e non al primo passante più o meno acculturato che si candida su un social network o che entra in qualche "cerchio magico" non si sa in virtù di cosa) alle miniriforme istituzionali di facile presa sulle masse. Sarebbe bene che anche i mezzi di comunicazione di massa si impegnassero a confrontare le ragioni di chi ha voluto il "taglio" e di chi lo reputa sbagliato: questa indifferenza nei confronti del referendum può essere figlia dell'esito che appare scontato a favore del sì, ma forse è anche frutto della superficialità, dell'approssimazione, di un tema che ormai "non fa più audience". Il silenzio conviene più al sì o più al no? A noi pare che danneggi tutti: chi vincerà lo farà proclamando l'affermazione in un deserto (di voti espressi e di attenzioni, dato che i titoli dei giornali saranno sulle elezioni regionali e comunali e sul destino del governo). Una vittoria di Pirro: un numero di sì o di no che potrebbe essere di molto inferiore alla maggioranza degli aventi diritto, sancendo - a quel punto - che alla gran massa degli italiani non importa quanti sono i deputati o i senatori ma quel che fa o non fa la politica per loro. Meglio vincere o perdere, invece, dopo aver combattuto e mobilitato i cittadini, che arraffare la bandierina della vittoria nel deserto dell'urna e nell'indifferenza generale.